«A Monza e in Brianza nel mese di marzo mancavano 105 medici di medicina generale. La Ats, dopo le procedure di bando è riuscita a sostituirne solo 29. Questo significa che nel nostro territorio ci sono 76 zone scoperte».
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Marco Grendele, consigliere dell’Ordine dei medici di Monza e Brianza, iscritto alla Federazione italiana medici di medicina generale della provincia brianzola risponde con i numeri all’attacco dell’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Letizia Moratti.
In visita sabato scorso all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo sabato l’assessore Moratti ha affermato che la carenza dei medici di base in realtà è solo una percezione dovuta a una cattiva organizzazione del lavoro: «Il numero delle ore – ha detto – è profondamente diverso di chi lavora all’interno delle strutture ospedaliere o sanitarie. Questo è quello che crea questa percezione di carenza che non è carenza data da numeri, ma dall’organizzazione».
In parole povere “i medici di famiglia lavorano meno dei medici ospedalieri”. Un’affermazione che ha creato una vera bufera e ha portato la Fimmg a scrivere una lunga lettera aperta che si chiude con un invito all’assessore Moratti a far visita agli ambulatori di medicina generale per rendersi conto della mole di lavoro quotidiana.
«Le parole dell’assessore Moratti – spiega Grendele- ci provocano stupore, preoccupazione e tanta amarezza. La verità è che il nostro territorio sta subendo le conseguenze dovute a una grave e reale carenza di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, a causa di un clamoroso errore di programmazione, che non permette un’adeguata ed efficiente copertura delle zone carenti».
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Ecco allora il dato sul territorio di Monza e Brianza: «A Monza ci sono nove zone scoperte – prosegue Grendele – a Muggiò dove lavoro dal 1991 in cinque sono andati in pensione, ma in tre devono essere ancora sostituiti e ci è stato chiesto di farci carico di 100 pazienti in più rispetto al tetto massimo di 1.500. Nei centri cittadini non ci vuole andare nessuno perché gli affitti sono più alti e ci sono grandi problemi di viabilità».
«Se i medici di famiglia lavorassero davvero meno degli ospedalieri ci sarebbe la fila per riempire i posti vacanti – prosegue Grendele – e invece i giovani preferiscono entrare in specialità piuttosto che fare il corso per medico di famiglia. Forse ci si dimentica che il nostro orario di lavoro non si limita alla presenza in ambulatorio, ci sono le visite domiciliari, c’è tutta l’attività di back office che è sempre più onerosa. È in atto un attacco alla nostra professionalità. Perché se i farmacisti possono fare tamponi e vaccini, noi non possiamo metterci a vendere farmaci?».
Sul perché tante posizioni restano vacanti giocano anche altri fattori, soprattutto economici. «Un giovane medico deve riuscire ad affittare uno studio, arredarlo, pagare una segretaria – prosegue Grendele – questo giustifica uno stipendio più alto degli ospedalieri, ma al netto di tutte queste spese non ci resta molto. E poi non abbiamo ferie, malattia, non abbiamo il trattamento di fine rapporto, paghiamo Imu e luce in quota doppia perché i nostri ambulatori sono assimilati a negozi».