“L’ho masàa mi”. Le parole di Marcellina Caronni vanno interpretate, dai diari di Giovanni Battista Pitscheider. La donna che lo aveva sposato pochi anni prima – cantante lirica, insegnante di canto? – sono registrate dal nipote nelle sue carte e fanno riferimento a un momento di disperazione di settembre 1927: una stanza da letto di Bordighera, dove Pompeo Mariani si era sistemato una villa, uno studio, un giardino che aveva incantato anche Monet. Su quel letto il pittore stava morendo e la donna che lo aveva sposato pochi anni prima confessava qualcosa al nipote dell’artista.
Ucciso? Chissà. Di certo aveva chiamato un medico per fargli delle iniezioni di morfina, le ragioni restano un giallo. Di poco misterioso c’è quello che avrebbe fatto la donna, Nanà, di lì a pochi anni: con la figlia ormai diciottenne che aveva spacciato per nipote a Mariani, avrebbe dilapidato l’eredità artistica del monzese buttando sul mercato qualsiasi cosa ci fosse nella casa che avevano abitato, in Liguria. Demolendo, in una manciata di anni, la gloria che Pompeo aveva costruito in una vita.
Lo racconta “Pompeo Mariani 1857-1927. La storia inedita di un grande pittore dell’Ottocento”, pubblicato da Silvana Editoriale e curato dall’archivio nato nel 2015 per difendere la memoria del pittore. Così come Pompeo Mariani era stato il figlio mai avuti da Mosè Bianchi, Giovanni Battista Pitscheider lo era stato per Mariani: figlio della sorella di Pompeo, aveva spostato Elisabetta Keller ed era stato allievo, custode, conservatore dell’eredità dello zio, pur avendo scelto altre strade professionali. Suo nipote, Giovanni Pitscheider, così come aveva fatto il nonno, così come ha fatto il padre, vuole essere il conservatore dell’eredità artistica di Pompeo Mariani. Per questo ha costituito l’archivio milanese che, in un poco tempo, si è proposto come interlocutore delle forze dell’ordine per il mercato dell’arte e soprattutto si presenta come motore della ricostruzione della memoria dell’artista. Con lui c’è Paolo Lunardi Versienti, storico dell’arte, nato a Monza e cresciuto in Brianza, laureato allo Statale: l’autore delle indagini che nel libro, che sarà presentato sabato a Monza, prova a dirottare quanto acquisito in un secolo sull’artista. «Una leggenda di Monza», racconta. Un uomo che «che ha prodotto tantissimo: produci tanto, svaluti tanto? Vero in parte: ci sono altri autori che hanno prodotto tantissimo, come Boldini, ma la sua fama non è stata intaccata» e lo dimostrano le crescenti mostre degli ultimi anni in Italia. «Colto, intelligente, brillante, veniva dalla buona borghesia monzese, aveva studiato e viaggiato, da giovane. Tutto a posto, diciamo. Purtroppo, come spesso accade, se fai il matrimonio giusto o sbagliato le cose cambiano».
La moglie, Marcellina Caronni, appunto. «Quando Mariani è arrivato alla fine dei suoi giorni, era il nipote a dover mantenere la memoria e l’eredità. Ma fu estromesso con delle decisioni che possono rappresentare un giallo». Poi la depressione, la guerra, il carattere: le carte e le opere di Mariani finiscono sul mercato per fare cassa, al contrario delle decisioni di altre mogli di artisti dell’Ottocento che hanno custodito con cura la dimensione artistica ereditata (quella di Boldini, appunto, quella di De Nittis).
«Così la sua fama è rimasta intaccata negli anni. Tutti nell’Ottocento producevano tantissimo, ma non facevano uscire tutto, inclusi i bozzetti», così come è stato, causa la moglie, per Mariani.
«Sono monzese. Quando ho scelto un tema per il dottorato, ho pensato Mariani. Avevo capito che qualcosa sfuggiva. Lui ha sempre avuto sul mercato un grande successo: ancora oggi accade nelle aste. Perché pittore sempre estremamente piacevole, gioioso. Nel 2010 ho avuto piccola intuizione: vediamo chi era davvero. E sono andato a leggere una mole di lavori fatti su di lui. Era stato scritto molto, ma male e non in modo verificato. Alla fine ho trovato i parenti di sangue. Che avevano le carte: centinaia di migliaia di lettere autografe, libri, appunti, testi originali». Che hanno restituito un altro Mariani, quello descritto nella monografia.
Vittima della dispersione della sua eredità. Vittima dei falsari: «Ce ne sono tantissime, di opere non autentiche: i falsi veri – uno famoso di Lesmo, per esempio – e tantissime opere probabilmente completante dai bozzetti dell’autore».
«Da quando siamo nati noi (l’Archivio Pompeo Mariani, nel 2015, ndr) le cose sono cambiate. Oltre a fare testi, conferenze e molto altro, siamo stati contattati dal nucleo patrimonio artistico: abbiamo periziato per i carabinieri diverse opere» racconta ancora Paolo Lunardi Versienti. Cosa serve ora, per restituire a Pompeo Mariani il suo ruolo? «Una pulizia, intanto: chiarezza etica e tecnico-artistica. Ci che è vero e vero, quel che è falso è falso, se sono opere completate su bozzetti, vanno raccontate come tali. Cosa bisognerebbe fare poi? Organizzare una grande mostra monografica su Pompeo Mariani, ma servono molti soldi e un’istituzione disposta ad accettare, anche investendoci».
Da sabato 16 novembre a lunedì 6 gennaio ai Musei civici di via Teodolinda a Monza sarà esposto l’inedito di Pompeo Mariani “Ritratto del nipote Giovanni” del 1905, concesso in prestito dall’Archivio Pompeo Mariani.