A settembre 2014 tutto sembrava essere stato spazzato via in un attimo: le settimane di apertura gratuite volute dall’allora sindaco Roberto Scanagatti avevano portato alla Villa reale fino a 200 visitatori all’ora, migliaia nei primi giorni, numeri in crescita in una manciata di settimane.
E, appunto, anni di polemiche, proteste, litigi, manifestazioni erano stati cancellati: anche molti di quelli che avevano alzato il sopracciglio fino a quel giorno, davanti allo spettacolo di ori e stucchi, corridoi e luci, un secolo di quasi abbandono rimesso a nuovo in meno del tempo previsto, aveva ceduto le armi. La Villa reale ristrutturata era un successo, in quei giorni. E così l’idea nata nella giunta di centrodestra guidata da Marco Mariani, che aveva pervicacemente dato corpo alla concessione al privato per due decenni di gran parte del gioiello di Piermarini.
Sono passati poco più di sei anni ed è tutto finito. Travolto dallo scontro sottopelle diventato vibrante tra pubblico e privato che in realtà, nella manciata di anni che è durato il sogno di una macchina della cultura che potesse soddisfare entrambe le parti coinvolte, ha mostrato spesso i segnali della metastasi delle relazioni arrivate alla linea piatta all’antivigilia di Natale.
LEGGI le accusa di Attilio Navarra dopo l’addio
Ci sarà chi potrà dire “l’avevo detto”, ci sarà chi dirà il contrario. Difficile non pensare però che se il progetto non fosse mai nato, ora probabilmente la Villa reale sarebbe stata la stessa reggia macilenta di dieci anni fa.
Che cosa è andato storto è raccontato anche dall’altalena delle vicende interne. Il progetto di Nuova Villa reale è nato con la società concessionaria che aveva dato in subconcessione diversi spazi di sua pertinenza. Gli eventi alla monzese Vision Plus di piazza San Pietro martire, gestiti prevalentemente nelle sale alla sinistra dell’ingresso. La ristorazione a F&de Group, con “Le cucine di Villa reale”. Poi il secondo piano nobile, gli spazi espositivi d’elezione, con una società creata dallo stesso Attilio Navarra, presidente di Nuova Villa reale spa, con Civita, uno dei principali produttori italiani di mostre. E poi il Belvedere, affidato un subconcessione alla Triennale di Milano per riportare a Monza un pezzo della sua storia culturale, le origini del design. Nuova Villa reale, di fatto, affittava spazi ad altre realtà perché li gestissero.
Il primo strappo è arrivato a maggio 2016, poco più di un anno e mezzo dopo l’apertura. Nel frattempo c’era stato il successo della mostra inaugurale, quella di Steve McCurry, che aveva portato alla Reggia 140mila visitatori – che col senno di poi erano forse stati gonfiati dall’effetto novità di Monza. Poi una mostra bella ma difficile, “Italia fascino e mito”, ideata per Expo da ministero e soprintendenza. Non proprio l’ideale per sostenere l’entusiasmo dell’apertura. Da lì in po le cose non sono andate meglio: “Bellissima, l’Italia della moda” derivata dal Maxxi totalmente disallineata a un preciso progetto culturale autonomo, una ulteriore svolta con le fotografie di Gastel, ancora una inversione con Henri Cartier Bresson, poi una collezione d’arte dalla Johannesburg Art Gallery: mostre anche in molti casi interessanti, ma in apparenze mai figlie di una programma curatoriale ampio e organico. Questo non ha contribuito a dare una precisa identità alla Villa reale, che nel tempo ha iniziato a pagarne in prezzo con la discesa dell’appeal per il pubblico.
LEGGI le dichiarazioni del Consorzio
Maggio 2016, si diceva: divorzio secco con Vision Plus, sfrattata da Navarra. Il prezzo della subconcessione era di 300mila euro all’anno. Lo scontro arriva su questioni economiche, ovviamente. Il vuoto organizzativo (e di entrate) dal salone delle feste, sala degli arazzi, sala del trono e sala degli uccelli, sala da pranzo e sala da pranzo di famiglia fino alla sala bianca d’angolo, viene allora preso in carico direttamente da Navarra, che ancora allora mostrava sempre in pubblico il volto dell’ottimismo. «Se non lo fossi, ottimista, non farei l’imprenditore» avrebbe poi detto un giorno al Cittadino.
Sei mesi dopo, nuova svolta, a gennaio 2017: Civita lascia la società Cultura domani. Nessuna parola di fuoco, all’epoca, ma qualcosa non aveva funzionato. «Scelta imprenditoriale» dice il socio di Nuova Villa reale, «vogliamo uscire dal circuito delle mostre che girano in tutta Italia» diceva Navarra (anche se poi le cose non sarebbero sempre state così) annunciando che anche in questo caso avrebbe proceduto in proprio, gestendo Cultura domani (quella dei lavoratori della protesta di settembre).
Passa un anno, dopo avere chiuso “Da Monet a Bacon” la Villa reale ha pronto un nuovo salto mortale presentando “Mangasia: Wonderlands of Asian Comics” dedicata al mondo dei fumetti orientali, ma nel frattempo succede altro: a gennaio 2018 lascia Villa reale anche F&de Group, che gestiva bar e ristorazione. «Troppi investimenti rispetto alle entrate», insomma tante spese e pochi ricavi, dissero allora dalla società che sarebbe stata sostituita in quindici giorni da IT Monza, una nuova realtà nata dalla collaborazione tra Attilio Navarra per il 30% e il gruppo di ristorazione romano dei fratelli Ottaviani.
Passa l’estate ed è tempo di nuovi addii: la Triennale di Milano, che con la nuova presidenza di Stefano Boeri ha altri progetti nel capoluogo lombardo, disdice il contratto con Nuova Villa reale al Belvedere e svuota l’ultimo piano della Reggia dalla mostra storica dedicata al design italiano. Un’altra subconcessione che non viene sostituita da una partner privato. Era il mese di settembre del 2018, poco più di due anni fa, uno degli ultimi compleanni della Villa reale che il concessionario ha celebrato con una festa continuando a dirsi entusiasta del modello Monza, «da esportare», diceva sempre.
LEGGI intanto arriva il masterplan
Anzi, è stato proprio l’ultimo vero compleanno della Villa reale, appuntamento che negli anni precedenti veniva intitolato “Rinascita reale”.
Perché poche settimane dopo i troppi nodi sono venuti al pettine. Si sarebbe saputo molto più tardi, cioè lo scorso autunno, che le richieste di modifica del Def (il documento economico finanziario che regola i rapporti tra ente pubblico e privato) erano iniziate pressoché subito, o almeno così hanno detto i consulenti del Consorzio. È stato però allora, intorno all’ottobre 2018, che se n’è parlato per la prima volta. I rapporti si erano fatti decisamente tesi, Nuova Villa reale aveva presentato conti alla Reggia mostrando quelle che il sindaco Dario Allevi aveva all’epoca rappresentato come «gravi perdite di fatto in ogni anno di gestione».
Insomma: la macchina Villa reale non stava funzionando. La proposta ventilata dal privato, anche sulla scorta di commi contrattuali non perentori, è stata allora di dimezzare o quasi gli orari di apertura della Villa reale nelle parti i concessione: non più da martedì a domenica, ma da giovedì a domenica. L’ipotesi è rimasta nel limbo grazie a una tregua autorizzata dal Consorzio a Navarra: un mese di chiusura totale al pubblico a novembre per affittarla integralmente alla multinazionale Luxottica, perché fosse la sede della presentazione delle nuove collezioni alla clientela internazionale. Un’entrata certa (e si presume consistente, anche se non si è mai saputa la cifra) oltre a 25mila euro al Consorzio pubblico. Nel frattempo Allevi, in quanto sindaco anche presidente del Consorzio Villa reale e Parco, aveva annunciato di avere costituito con la Regione una «cabina di regia» con i rappresentanti di tutti i soci del Consorzio e i legali per valutare come e dove fosse possibile andare incontro alle difficoltà del privato.
Era l’ultima scialuppa, di fatto. E non è servita a dirigere a un porto sicuro i dissapori tra ente consortile e concessionario. Si arriva così infatti a gennaio 2019, due anni fa. Nel frattempo Attilio Navarra aveva portato a Monza uno dei risultati più importanti, nella progettazione espositiva, anche se non una mostra da grandi numeri: l’edizione italiana dei Sony World Photo Awards, uno degli appuntamenti più importanti della fotografia nel panorama mondiale. Due edizioni, si sarebbero succedute, e nell’ultima presentazione era perfino stata paventata l’ipotesi di trasferire alla Villa reale non la prima replica della mostra collegata al premio, dopo il debutto di Londra: di farne addirittura la sede di apertura del concorso annuale.
LEGGI le speranze per i dipendenti del privato
I numeri, negli anni precedenti, non erano stati confortanti, soprattutto perché si partiva da un obiettivo di 200mila visitatori all’anno. Dopo i 140mila di McCurry a settembre 2014, per esempio, per “Henri Cartier-Bresson, Fotografo” erano stati totalizzati 17.537 ingressi nel 2016 e 15.454 visitatori nel 2017, “Da Monet a Bacon, Capolavori della Johannesburg Art Gallery” tra fine marzo e fine luglio aveva raccolto 24.544 ingressi, il primo “Sony World Photography Awards & Martin Parr” in due mesi aveva registrato 7.506 ingressi.
Insomma, tutto molto lontano da qualsiasi ipotizzabile break even, probabilmente: il punto di pareggio (quantomeno) tra entrate e uscite, dopo il quale si iniziano a fare inutili e non ci si limita a ripianare investimenti e perdite. Di certo continuavano a essere un miraggio le analisi fatte prima che la Villa reale riaprisse al pubblico con la partnership pubblico-privato: «La Camera di Commercio prevede 500mila visitatori all’anno dopo il recupero» aveva detto l’allora sindaco Marco Mariani nel 2013, quando il progetto muoveva ancora i primi passi.
Gennaio 2019, si diceva. La Villa reale ospita un’altra mostra di fotografia, un indirizzo prevalente nella programmazione, “Paris D’Amour” di Gérard Uféras, più tardi sarebbe arrivata “Toulouse Lautrec La Ville lumière”, aperta in primavera e poi prorogata fino all’inizio del 2020. Un anno stanco, e si capisce, nonostante di tanto in arrivi qualche tentativo di ridare fiato all’operazione, anche in modo organico. Sono i mesi in cui si prepara l’ormai leggendario masterplan per Villa e Parco da parte del Consorzio, il documento che regolerà lo sviluppo futuro dell’intero bene monumentale, c’è il progetto di Camera di commercio e Triennale che cercano di chiamare alle armi esperti, progettisti, architetti per provare a ideare proposte per il futuro. A novembre 2019 una zampata del privato: la ristorazione cambia di nuovo ma passa nelle mani della società Vicook, cioè la famiglia Cerea, titolari dello stellatissimo (Michelin) “Da Vittorio” di Bergamo. Sembra un buon segno, ma non lo è.
Primo perché nell’arco di quattro mesi scarsi arriva il lockdown, che non può che essere una cattiva notizia per una realtà che vive di pubblico. Secondo perché a marzo 2020 Attilio Navarra muove la sua pedina definitiva: manda il recesso dal contratto di concessione, chiede oltre 8 milioni di euro di risarcimenti e mancati incassi al Consorzio, lascia aperta una porta con la sospensiva e assicura le manutenzioni. Gli enti pubblici si rimettono al lavoro per cercare di uscirne senza troppi strascichi: una battaglia legale, si diceva all’epoca, metterebbe a rischio per chissà quanto tempo la restituzione del bene al Consorzio. Si parla anche di una mediazione a 4 milioni di euro per chiudere la questione, cifra mai confermata ufficialmente, ma nemmeno mai smentita del tutto. Ma è un’altra ipotesi che cade nel vuoto e nelle riserve della Corte dei conti, alla quale era stato chiesto un parere preventivo sull’operazione.
Si arriva all’atto finale: verso la fine dell’anno il privato manda la recessione definitiva dal contratto. Chiedendo comunque gli 8,3 milioni. Il 23 dicembre ci ha pensato il Consorzio, dopo l’eterna chiusura della Villa anche quando era possibile riaprirla, ha risolto il contratto con il privato. Domani è attesa la restituzione delle chiavi.