Ha perso 28 chili. Per tre anni è entrato e uscito dagli ospedali. Ha rischiato di non rivedere mai più la sua bambina, ma quando sembrava che tutto fosse finito, è stato inserito nella lista degli aventi diritto al trapianto e dieci giorni dopo aveva due polmoni nuovi. È la rinascita di Lavdimir Skura, 43 anni, operaio di origini albanesi residente a Camnago di Lentate sul Seveso. Lui è la prova che la donazione degli organi salva una vita. Arrivato in Italia nel 2002, da subito si è contraddistinto per una caratteristica: instancabile lavoratore.
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Era un muratore Lavdimir, difficilmente tornerà a fare un impiego così faticoso. Dipendente di un’impresa edile, è entrato a contatto anche con l’amianto, forse proprio questo ha segnato i suoi polmoni. Il calvario è iniziato tre anni fa. «In principio era solo una tosse – si racconta il quarantatreenne – Poi ho cominciato a perdere i sensi, a sentirmi sempre più debole». All’ospedale di Seregno l’esame della spirometria dimostra che qualcosa non va, ma la biopsia dà esito negativo. Lavdimir continua però a stare male e viene ricoverato a Vimercate. «Era un continuo entrare e uscire dagli ospedali – incalza la moglie Elona, 29 anni, minuta ma fortissima nel sostenere il suo Lavdimir – Non si capiva cosa avesse, sino a quando nell’ottobre del 2015 è arrivata la diagnosi: alveolite estrinseca». I polmoni sono pieni di cicatrici, Skura fatica a respirare.
A gennaio viene ricoverato all’ospedale di Pavia. È sotto ossigeno «Continuavo a perdere peso. Da 87 chili ero sceso a 59 chili». Debolissimo ma desideroso di riprendersi al più presto: «Voleva tornare a lavorare – dice con un sorriso Elona – Io gli sono stata sempre accanto. La nostra bambina, Gloria 7 anni, è andata dai nonni in Albania. Non potevamo fare altrimenti, io vivevo in ospedale, sostenuta dal sincero affetto dei medici».
Il sacrificio di una famiglia viene ripagato il 20 maggio del 2016. A dieci giorni dall’inserimento della lista dei trapianti all’ospedale di Pavia arrivano due polmoni e sono per Lavdimir. Quel giorno all’ospedale “San Matteo” sono stati trapiantanti cinque organi. Skura è rimasto sotto i ferri 13 ore e ha lasciato il nosocomio di Pavia solo a settembre, ma ce l’ha fatta e ora si sta riprendendo. «La sua storia è la prova che nonostante una morte dolorosa (il donatore) le persone possono vivere grazie alla donazione degli organi» afferma il presidente Aido Lentate Angelo Giordano. Davvero un bel regalo di Natale per il quarantenne, che sogna di tornare a lavorare e di riavere una vita normale. Un lavoro servirebbe anche alla moglie Elona, che per tre anni è stata il suo angelo custode.