Il caso dello studente gay a Monza: «Quel che manca a una storia già scritta»

L’editoriale del direttore Martino Cervo dedicato alla denuncia di una famiglia che ha ritenuto discriminatori gli atteggiamenti di una scuola di Monza verso il figlio. Poche cose danno fastidio come le lezioni di giornalismo impartite dai giornali. Al profluvio di parole e byte interessa aggiungere una ricostruzione da un’angolatura un po’ diversa.
Una classe
Una classe

Poche cose danno fastidio come le lezioni di giornalismo impartite dai giornali. Alla larga, quindi. Al profluvio di parole e byte generati dalla denuncia di una famiglia che ritenuto discriminatori gli atteggiamenti di un ente di formazione professionale di Monza, l’Ecfop, non ci interessa aggiungere una “morale”, ma una ricostruzione da un’angolatura un po’ diversa.


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Osservando il flusso che ha portato la nostra città sulle pagine di tg e quotidiani nazionali, è impossibile non cogliere i fili di una storia in buona parte già scritta. Perché mettere insieme lo studente omosessuale, la presunta discriminazione, l’istituto di ispirazione cattolica, l’espulsione dall’aula ha creato, nei giornali generalisti, un canovaccio troppo bello per disturbarlo con qualche dato di realtà. C’è una forza quasi indistruttibile nella reiterazione della storia della «scuola-cattolica-che-caccia-il-gay», tale da vincere qualsiasi altra domanda o considerazione. Ci ostiniamo a farli, certi quesiti, partendo da due punti fermi: il rispetto della famiglia che si ritiene lesa, e soprattutto il rispetto del giovane. Sorprende, però, che il fatto che ci sia di mezzo un ragazzo omosessuale faccia cadere in secondo piano praticamente tutto. Uno studente che posta e dunque divulga immagini che la scuola ha definito «atti sessuali espliciti» è o no giustificato motivo di apprensione e di intervento da parte di un dirigente che ha responsabilità educative? Questo prescinde totalmente dall’orientamento affettivo del giovane in questione. Sorprende che la scelta della scuola di sottrarlo al polverone della classe per permettere di coinvolgere la famiglia nella gestione del caso sia stato da subito e comunque considerato ostile e punitivo, senza prendere in considerazione l’ipotesi della buona fede a tutela del minore.

Sorprende, più di tutto, l’automatismo in atto, la gara a dichiarare, a prendere posizione, a invocare interventi istituzionali. Certo che, come ha detto il sindaco, «se il caso di discriminazione denunciato dalla madre dovesse essere confermato sarebbe un fatto di una gravità inaudita».
Però chi ha responsabilità pubbliche ha anche gli strumenti per avere conferme dei fatti. Sorprende, dunque, che Elena Centemero (FI) chieda un’interrogazione parlamentare perché «se le discriminazioni sono sempre odiose, quelle che avvengono a scuola sono particolarmente gravi». Sorprende perché in tutto questo scorgere un barlume di pietà per il ragazzo è sempre più complicato.