«Giovanni Paolo I
I è un papa che ci ha insegnato a vivere, ma anche a morire». Un precursore, un anticipatore dei tempi, come emerge dalla lettura attenta delle lettere apostoliche e delle encicliche lette ancora, ciclicamente, ogni settimana. Sono passati dieci anni dalla morte, eppure l’eredità del ministero è ancora vivida nei fedeli e in coloro che sono nati sotto il suo pontificato. Tra loro c’è don Leslaw Piotr Bialek, don Leo per le comunità cattoliche del territorio che proprio sulle orme del successore di Pietro è diventato sacerdote.
Prima di tutto per una ragione anagrafica. «Sono nato nel 1976- racconta infatti il sacerdote, vicario parrocchiale a Solaro- e Karol Józef Wojtyla è stato eletto quando avevo due anni, dopo Paolo VI». E poi per una comune origine. Nato proprio a Lubaczow, in Polonia, il religioso da quasi due anni destinato alla Brianza, è stato ordinato sacerdote nel 2001 nella sua terra d’origine, prima di ricoprire l’incarico di cappellano dell’ospedale San Raffaele a partire dal 2004 e dell’ospedale san Carlo nella metropoli milanese dal 2010.
L’incontro con il pontefice avviene qui, in Italia, durante un’udienza. Solo pochi attimi, il tempo di scambiare qualche parola, poi la benedizione. «Non dimenticherò mai quello sguardo, uno sguardo che conosceva,- ricorda- Giovanni Paolo II ha cambiato il volto del mondo. La luce profonda della sua eredità echeggia potente nella Chiesa e si esprime anche nelle parole dei suoi successori, Benedetto XVI e Francesco. «Scenda lo spirito Santo e rinnovi la faccia della terra, di questa terra»: è con queste parole nell’omelia da piazza della Vittoria a Varsavia che nel giugno del 1979 il successore di Pietro saluta la folla di 300mila fedeli.
«Ha dato il via a quel processo che dieci anni dopo ha portato la nazione- prosegue don Leo- a far vincere la democrazia. Oggi in Polonia è celebrata la giornata dedicata a Giovanni Paolo nel corso della quale si raccolgono le offerte per la formazione e l’istruzione dei figli delle famiglie più indigenti: un’attenzione ai giovani e alle nuove generazioni che ha sempre caratterizzato il suo pontificato, così come in Ecclesia in Europa è espresso il pericolo del secolarismo che oggi è di ritorno proprio tra nel nostro continente, ma anche una nuova speranza che permette di seguire le orme del Signore».
Ed è proprio di questa speranza in nuovi orizzonti, secondo il sacerdote, che abbiamo bisogno, soprattutto nel periodo pasquale. «Arrivando alla Pasqua di Resurrezione non bisogna dimenticare come Giovanni Paolo II è stato un sostenitore della Divina Misericordia e la sua scomparsa è avvenuto alla vigilia di quella domenica. Questa Misericordia abbracciava e continua ad abbracciare tutte le sofferenze e le miserie dell’uomo. Lui è morto per noi e risorgendo ci ha indicato la via verso il Padre. Il nostro sguardo di cristiani deve essere uno sguardo più profondo, che va oltre, verso la vita eterna con Cristo». Ed ecco quindi l’insegnamento, nella vita, come nella morte. «Non dobbiamo dimenticare come colui che ora è già Santo, davanti al volto del Signore, ha sempre tutelato la vita, dalla sua origine, passando dalla nascita, arrivando fino alla vecchiaia e alla morte, aiutando e sostenendo anche le coppie che vivevano il dolore di non poter avere figli. Ci ha anche fatto vedere il dolore e la sofferenza della malattia: ecco perché credo ci abbia insegnato come vivere e come morire: il Signore ha voluto che papa Giovanni Paolo II provasse tutto».
Un’ultima immagine: l’ultima apparizione, davanti ai suoi fedeli, il tentativo sofferente di pronunciare qualche parola, la voce che non c’è, che non risponde. Ma uno sguardo, quello, che ha espresso il messaggio rimasto inespresso.