“Non possono esserci dubbi sulla responsabilità dell’attuale imputato nell’omicidio e nell’occultamento del cadavere del suo connazionale, per cui chiedo 24 anni di condanna e le attenuanti soltanto perché ha consentito di poter acquisire tutti gli atti dell’indagine“.
Questa la conclusione della requisitoria che, venerdì scorso, il pm monzese Marco Giovanni Santini ha concluso durante il processo in Corte d’Assise a I.S., 35 anni, marocchino pregiudicato per reati di spaccio di sostanze stupefacenti, irregolare sul territorio nazionale e senza fissa dimora, da marzo scorso in carcere imputato per aver torturato e strangolato, fino ad ucciderlo, il connazionale Omar Annaoui e per averne sepolto il cadavere in un campo di mais a Desio, il cui ritrovamento risale al 28 agosto 2022.
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Un vero e proprio giallo inizialmente quello del delitto del cinquantatreenne, consumatosi in uno scantinato dell’ex carcere cittadino tra il 22 e il 23 agosto. Le indagini erano partite dalle dichiarazioni di una persona informata sui fatti, anch’essa di nazionalità marocchina, che aveva poi consentito il rinvenimento del cadavere, sepolto sotto meno di un metro di terra in un campo di granturco accanto all’ex carcere e alla caserma dei carabinieri. Per identificare il cadavere in avanzato stato di decomposizione i carabinieri avevano confrontato le denunce di scomparsa e poi era stato proprio il testimone a indicare il luogo dove era avvenuto il delitto, ovvero lo scantinato dell’ex carcere, un luogo abbandonato da anni, in cui erano state rinvenute diverse tracce di sangue e il tubo di gomma servito per strangolare il marocchino.
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A tradire l’assassino, erano state proprio le tracce lasciate sul tubo di gomma e il suo Dna nel seminterrato. L’arresto era scattato sei mesi dopo il ritrovamento del cadavere, quando i carabinieri con l’aiuto delle investigazioni scientifiche dei Ris di Parma avevano individuato come unico responsabile l’attuale imputato con una certezza che il Dna fosse il suo massima ovvero di 10 alla sesta. Ma lui, difeso dall’avvocato Andrea Fabio Scaccabarozzi, continua a professarsi innocente e ad accusare altri connazionali che hanno testimoniato a processo.
“Le dichiarazioni dell’imputato sono contrastanti – ha spiegato il pm – inizialmente dice di non aver né mai visto e conosciuto Annaoui e di non essere mai sceso nello scantinato, poi però ammette di esserci stato anche perché su una struttura metallica è stata trovata una traccia di Dna, probabilmente sangue, appartenente proprio a lui”. Il processo è alle battute finali. Si torna in aula il 15 marzo per le conclusioni e probabilmente la sentenza.