Giovanni Azzone, da maggio 2023 presidente di Fondazione Cariplo, ha svolto mercoledì 20 settembre la sua prima visita istituzionale in Brianza, un territorio sul quale l’ente filantropico ha investito oltre tre milioni di euro nel 2022.
Tra gli appuntamenti in agenda, oltre all’incontro con il sindaco di Monza, Paolo Pilotto, anche un confronto con la Fondazione di Comunità di Monza e Brianza. Un appuntamento che, spiega il presidente, «aveva l’obiettivo di conoscere meglio questo territorio. La nostra fondazione opera su un’area molto ampia ed eterogenea al suo interno e le fondazioni di comunità sono un po’ il nostro braccio operativo. Per poter costruire un progetto di intervento per il futuro di un territorio è quindi necessario comprenderne a pieno le esigenze. La prima sensazione, qui, è estremamente positiva, è quella di una comunità fortemente integrata».
La Brianza è una realtà ricca di associazionismo: qual è il suo segreto?
«Si tratta di una comunità forte e coesa, questo rende in qualche modo più agevole il percepire la cultura del dono. Sicuramente questo ha generato una capacità di sviluppo di sussidiarietà molto significativa. Anche sul terzo settore ci sono delle dinamiche da tenere d’occhio: c’è un tema di coinvolgimento dei giovani, c’è un tema di cambio delle competenze richieste, penso a quelle digitali o gestionali, quindi anche su questo stiamo cercando di intervenire, per esempio supportando lo sviluppo di centri di formazione per il terzo settore che aiutino a valorizzare queste potenzialità».
Perché, secondo lei, diventa più difficile oggi coinvolgere i giovani nel volontariato?
«Credo sia un tema generazionale. La mia generazione, quella dei “baby boomer”, è nata in un contesto in cui c’erano poche alternative, un mondo a informazione scarsa. Si aveva, allora, la necessità di trovare qualcosa da fare. Oggi, invece, siamo in una situazione in cui i ragazzi e gli adolescenti sono in un mondo a informazione ridondante: ricevono un bombardamento di stimoli che rischia di fargli perdere la possibilità di annoiarsi. Ciò incoraggia un po’ di solipsismo, la tendenza a isolarsi dalla realtà e dagli altri, restando però iperconnessi a strumenti tecnologici. Rendersi direttamente conto dei bisogni reali delle persone o leggere un articolo al riguardo su uno smartphone è molto diverso. Ritengo sia un tema da affrontare con il rinnovamento dei modelli educativi».
La Brianza è anche terra di imprese, come impostate il vostro dialogo con il mondo produttivo?
«Rafforzare la comunità vuol dire due cose: da un lato creare valore condiviso e, dall’altro, assicurarci che questo valore sia impiegato anche per colmare le disuguaglianze, perché una comunità molto diseguale è anche disfunzionale. Operare con il sistema imprenditoriale di un territorio è quindi una condizione necessaria, perché senza imprese la possibilità di creare sviluppo è nulla. Ho trovato una chiara percezione, da parte del mondo produttivo, che nel medio e lungo termine il successo delle imprese necessiti di comunità sempre meno fragili: c’è un tema di invecchiamento della popolazione ma anche quello di una forza lavoro giovane che vada a compensare le professionalità che si perdono. Questo tocca tanti temi anche in ambito sociale: penso al tema dell’immigrazione ma anche ai Neet, giovani che non studiano e non lavorano e che devono essere recuperati alla nostra società».
Proprio l’invecchiamento della popolazione è una dinamica sempre più presente su tutti i territori. State registrando nuove esigenze, da questo punto di vista?
«Stiamo notando una connessione tra il tema dell’invecchiamento e quello della digitalizzazione, che rischia di generare nuove marginalità. Un anziano che ha difficoltà a utilizzare lo Spid, solo per fare un esempio, avrà difficoltà ad accedere a servizi essenziali. Ma pensi anche alla chiusura delle edicole: gli anziani abituati a leggere giornali cartacei improvvisamente si trovano a fronteggiare una difficoltà ad accedere alle informazioni. Ci piacerebbe intervenire su questa povertà digitale, importante soprattutto perché la digitalizzazione della nostra società sta avanzando progressivamente».
A livello sociale gli ultimi quattro anni hanno visto un susseguirsi di emergenze che hanno messo a dura prova la resilienza delle comunità. Come immaginate il futuro?
«Riteniamo che queste situazioni, un domani, non saranno più episodiche: una volta è la pandemia, poi la guerra, poi l’inflazione… ci sono una serie di elementi di turbolenza che oggi sono inevitabili. Se guardiamo allo scenario macro, dal punto di vista demografico nel 1950 l’Italia era il decimo Paese al mondo per numero di abitanti, nel 2050 la Nigeria da sola sarà più popolosa dell’intera Europa. Fenomeni di questo genere innescano dinamiche difficili da contrastare, piuttosto è necessaria una capacità di adattamento e progettazione. Lo sforzo che immaginiamo è proprio questo: più che la forza di reagire a singoli shock, è necessario incrementare la capacità di risposta dei territori alle sfide poste dalla contemporaneità e che si verificheranno inevitabilmente nei prossimi anni».