La filosofia del progetto della Superlega calcistica, arenatosi in men che non si dica dopo essere stato annunciato, non piace alle società brianzole o, quantomeno, è visto con qualche perplessità.
«La verità è che non ci sono più i presidenti di una volta – spiega Emiliano Sironi, alla guida della Vis Nova Giussano, in serie D – quelli come Massimo Moratti. Gli attuali badano solo al business e, se investono cento, vogliono guadagnare centodieci. Così, però, si toglie romanticismo al calcio: un aspetto bello di questo gioco è che può capitare che il Benevento vinca a Torino contro la Juventus. Come è bello che il Castel di Sangro sia stato in serie B, che il Chievo sia stato in serie A e che il Leeds abbia vinto la Premier League».
Analogo è il parere di Antonio Obbedio, direttore sportivo del Renate, espressione di una comunità piccola per numero di abitanti, ma capace di conquistarsi credibilità e rispetto in serie C: «Noi siamo dell’opinione che conti il merito sportivo e che una proposta come quella della Superlega potrebbe, a cascata, creare danni anche alle categorie inferiori. In un momento difficile per la pandemia, occorrerebbe rivedere i budget al ribasso, strutturando gli organici in maniera equilibrata. Non si può sempre pensare di risolvere ogni problema solo avendo il portafoglio pieno».
Più sfumata è la posizione di Davide Erba, presidente del Seregno, capoclassifica del girone B del campionato di serie D: «Non conosco i dettagli del progetto, come ad esempio i suoi benefit economici, né quanto sia difficile l’attuale situazione per i club coinvolti. Certamente, però, questa novità evidenzia un malessere molto radicato, che ritengo meriti di essere approfondito, senza che si spari a zero a prescindere e senza che si sposi la causa della Superlega a prescindere. Bisogna capire come i costi delle competizioni possano essere resi più sostenibili».