Ciclismo: la vittoria più bella? Per Gianni Bugno «da ragazzino a Monza»

Gianni Bugno ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera in cui ha parlato del ciclismo e non solo. E della sua vittoria più bella.
Gianni Bugno
Gianni Bugno

Due titoli mondiali nel 1991 e ’92, un bronzo iridato prima di quella doppietta (’90), un Giro d’Italia vinto con la maglia rosa addosso dalla prima tappa. Una Coppa del Mondo, una Milano-Sanremo, un Giro delle Fiandre, un secondo e un terzo posto al Tour de France. Ma qual è la vittoria preferita da Gianni Bugno, campione di ciclismo che ha lasciato il segno sugli anni ’90 delle due ruote?

Ciclismo: Gianni Bugno intervistato dal Corriere della Sera

«È stato bello (il Giro d’Italia), ma ricordo la prima vittoria da ragazzino a Monza: una sensazione fortissima, mai più vissuta. A posteriori ho capito che apprezzavo di più le sconfitte: mi facevano rimuginare sugli errori e su come correggerli. Ho imparato tantissimo da come ho perso».

Nato in Svizzera e approdato in Brianza con la famiglia, che si era trasferita aprendo una tintoria in via Libertà, Bugno ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera in cui ha parlato del ciclismo e non solo.
Sui pedali aveva iniziato a macinare chilometri proprio a Monza con la sua prima bici: «Una Graziella. Ero l’unico a pedalare fino a scuola, impiegavo metà tempo rispetto ai compagni. E il sabato ci andavo a trovare mia zia suora a Viganò, a 30 chilometri da Monza. Più la usavo, più mi sentivo libero», ha raccontato al giornalista Marco Bonarrigo.
In Brianza la prima gara (subito in fuga e poi ripreso), a Monza la seconda: «(…) Sotto casa. Pronti, via. Non mi hanno ripreso».

Ciclismo: il ciclismo, la scuola, gli elicotteri. E un altro sogno

La decisione di dedicarsi al ciclismo come professionista a causa di un insuccesso scolastico: rimandato in italiano e latino (da una prof «convinta che chi faceva sport non potesse andare bene a scuola»), non si presentò agli esami dichiarando chiusa la sua carriera di studente.
Salvo poi, riprendere gli studi in età adulta al quinto anno di liceo scientifico da privatista per poter sostenere la maturità necessaria per affrontare il percorso per il brevetto di pilota di elicotteri. La seconda vita dopo il ciclismo: «Guardavo l’elicottero della Rai che ci svolazzava sopra e pensavo che quello sarebbe stato il mio nuovo lavoro (…) Cinquemila ore in volo prima con la Rai poi al 118. Dormivo in branda negli aeroporti militari, turni di dodici ore. Cinque minuti per accendere i motori dopo la chiamata, trenta secondi per decidere se decollare o meno».

Rimasto a terra dopo che per un malore gli è stato ritirato il brevetto, è tornato nel ciclismo sulle auto di gara. Ma c’è anche un altro progetto: guidare i camion. «Ho le patenti B, C e D. Tranne i bus di linea, posso guidare tutto. Se qualcuno ha bisogno, io ci sono».

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