Per capire fino in fondo il duomo di Monza e la sua rinata cappella degli Zavattari occorre capire un’epoca. Ed è la stagione del gotico lombardo, che passa dalle due grandi signorie milanesi. È la parabola descritta dalla mostra “Arte lombarda: dai Visconti agli Sforza” aperta fino al 28 giugno al palazzo reale di Milano.
Una storia fatta di “Amori e congiure, intrighi” e anche di grandi capolavori. I nomi dei libri di storia sono quelli di Azzone, Galeazzo e Bernabò, Giangaleazzo, Filippo Maria Visconti; e poi Francesco Sforza, Galeazzo Maria, Ludovico il Moro; quelli della storia dell’arte Giovanni di Balduccio, il Maestro di Viboldone, Bonino da Campione, Giovanni da Milano, Giusto de’ Menabuoi, Giovannino de’ Grassi, Michelino da Besozzo, il Maestro Paroto, Bonifacio Bembo, Pisanello, Gentile da Fabriano, Vincenzo Foppa, Zanetto Bugatto, Bernardino Butinone, Bergognone, Boltraffio, de Predis e Zenale.
E tra loro anche Francesco Zavattari, il capostipite della famiglie di pittori che a metà del XV secolo ha affrescato la leggenda della regina longobarda nel duomo monzese. In mostra due tempere su tavola, una delle quali proveniente da Praga, che mostra una “Crocefissione con san Giovanni Battista e due santi cavalieri e martiri” (datata 1425-1430) e una “Madonna lactans e sant’Anna tra i santi Pietro martire e Antonio abate”.
Agli Zavattari fanno riferimenti anche i ricchi testi storico critici che completano il catalogo (Skira, 415 pagine, 44 euro) facendone una mostra dall’apparato scientifico fondamentale per l’aggiornamento degli studi sull’epoca: contributi e riferimenti anche a Roberta Delmoro che da tempo dedicata attenzione ai tesori monzesi. E il cui lavoro contribuisce a sottolineare un aspetto dell’arte dell’epoca zavattariana che mette la famiglia al centro di una evoluzione significativa: la presenza di botteghe a conduzione familiare capaci anche di tratteggiare – insieme a quella dei Bembo – «le attese e la cultura visiva della corte», che era fatta di «oltremarino e broccato d’oro, fregi con le scritte, pastiglia rilevata a stampo o a pennello che invade i fondi delle immagini»: tutti elementi che si ritrovano proprio nella cappella di Teodolinda.
La mostra si compone di 250 oggetti e opere d’arte e si rifà «nel titolo e nel periodo considerato, a quella celebre organizzata nel 1958 al piano nobile di palazzo reale da Gian Alberto Dell’Acqua e Roberto Longhi»: promossa dall’assessorato alla Cultura del comune di Milano, coprodotta da palazzo reale e da Skira editore, «la mostra di oggi ripensa quel progetto nella chiave più pertinente e attuale: quella della centralità di Milano e della Lombardia, alle radici della cultura dell’Europa moderna».