Il progetto si chiama “Il design e il territorio” e dice molto: da domenica 15 aprile il belvedere della Villa reale dove si trova il Triennale design museum è tornato a raccontare da molto vicino quali si sono i punti di intersezione tra la storia e la Storia. Nell’incrocio c’è il design, l’arte applicata all’industria, che qui, a Monza e dintorni, ha costruito uno dei terreni di cultura più incredibili. Capaci di raccontare un mondo al mondo.
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La Triennale di Milano lo fa con una nuova serie di mostre alla Villa reale e tra loro “Monza e Arredoluce”, a cura di Anty Pansera, che riporta in città una selezione “di venti pezzi iconici dell’azienda monzese che, ingiustamente dimenticata, testimonia una particolare case history del design italiano”.
Una storia ricostruita anche grazie al Cittadino: nei mesi scorsi Anty Pansera ha lanciato l’appello ai monzesi per ricostruire la storia di quell’avventura e la città ha risposto. I risultati sono una mostra e un libro che ricostruiscono l’avventura di Angelo Lelii, classe 1915, che già dal 1943 – marchigiano trapiantato dall’infanzia a Milano, intraprendente ricercatore e appassionato “meccanico”, inizia a progettare e produrre lampade a Monza.
“Affiancato da sempre dalla moglie, Bianca Bussetti, Lelii inizia a mettere a punto le sue straordinarie lampade: nel 1945 chiede e ottiene una licenza edilizia per la costruzione di un nuovo e articolato fabbricato in via Lecco” che ancora oggi è visibile e ospita l’esposizione di Poltrone e sofà. “Tutti i prodotti sono caratterizzati da un’innata eleganza e innovativi meccanismi. La loro realizzazione risulta inoltre raffinata e curatissima: marchiati da un elegante e sintetico logo, disegnato dallo stesso Angelo”.
Arredoluce si fa strada nelle Triennali a partire dal 1947, coinvolge i fratelli Castiglioni (che progettano nel 1949 il Tubino) fino a Giò Ponti, a Ettore Sottsass e molti altri ancora. “Negli anni Sessanta, Lelii privilegia un impegno più diretto – ricordano gli organizzatori – nonché una produzione per certi versi più sofisticata, come innovazioni meccaniche e luminose. Disegna, di fatto, quasi il 90% delle lampade prodotte da Arredoluce, tra le quali possiamo ricordare le lampade dei cinema cittadini: dal “Cinema/Teatro Villoresi”, al Metropol (1955).
“Monza e Arredoluce“ di Anty Pansera è solo uno dei tanti capitoli di cui si compone il ripensamento del museo del Belvedere nella stagione del Salone del mobile e del Fuorisalone 2018.
Sotto la cura della direttrice Silvana Annicchiarico, “Triennale Design Museum porta avanti il racconto del design nel territorio di Monza e Brianza attraverso cinque mostre dedicate a un designer, due aziende, un premio e un materiale”. E allora Arredoluce, appunto, e poi “Ritrovare Gianfranco Frattini”, a cura di Marco Romanelli, mostra che “si focalizza sull’attività di furniture designer di Gianfranco Frattini (1926-2004), pur non tralasciando di segnalare le sue incursioni nel product e la forte continuità con gli interni. Allestita grazie alla preziosa collaborazione degli eredi Frattini, presenta esclusivamente materiali originali provenienti da collezioni pubbliche e private, nonché dagli archivi delle aziende. È la prima esposizione monografica al mondo dedicata a Gianfranco Frattini dopo la sua scomparsa”.
“Dal 1948 al 1968 l’Italia, uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale, conosce un processo di crescita e di affermazione internazionale inaspettato e probabilmente irripetibile. Si può sostenere che il design italiano nasca proprio in quel periodo, a opera di un gruppo ristretto di giovani progettisti legati al più anziano Ponti” scrive la Triennale.
E ancora: “Cantù e La Selettiva del Mobile”, a cura di Tiziano Casartelli, il concorso nato negli anni Cinquanta con un bando scritto alla prima edizione da Gio Ponti. «La Prima Selettiva rappresenta il banco di prova del rinnovamento dell’industria briantea del mobile e, sebbene con effetti non immediati, l’apporto culturale di architetti e designer influisce efficacemente sull’orientamento produttivo, sui metodi costruttivi e sulla prassi progettuale» scrive il curatore. Infine “Lurago d’Erba e le fibre naturali” a cura di Matteo Pirola, sullo sviluppo di prodotti che vanno “dai giunchi al midollino, dal vimini alla paglia: si tratta di materiali con i quali il design si è cimentato durante il secolo scorso, cercando di superare l’intramontabile sapere artigianale, verso una produzione industriale”.
Tra le tante mostre di cui si compone il nuovo allestimento del Belvedere c’è anche “Monza e gli ultimi cappellai”: a curare il progetto è Lorenzo Damiani «La città di Teodolinda, conosciuta come “città del cappello”, ha ormai dismesso e progressivamente cancellato dal proprio territorio le aree produttive che l’hanno resa celebre in tutto il mondo» ricorda la Triennale. Sopravvive la Vimercati, oggi Vimercati Hats 1952.