La seconda opera di de Chirico che vi invitiamo a osservare è questa “Vita silente con busto di Minerva”, del 1973. Giorgio de Chirico preferisce descrivere i quadri raffiguranti oggetti e cose inanimate con il termine vita silente piuttosto che con il più comune natura morta. Scrive l’artista: “La natura morta ha in tedesco un altro nome, molto più bello e molto più giusto, questo nome è Stilleben, vita silenziosa. Infatti la natura morta è un quadro che rappresenta la vita silenziosa degli oggetti e delle cose”.
Vita silente con busto di Minerva fa parte della serie di opere del periodo neometafisico che rielaborano tematiche già indagate nel periodo giovanile. Ai lati due edifici con portico ad arco segnano lo spazio di quella che sembra essere una piazza. Elementi architettonici di questo genere sono molto presenti nelle opere di de Chirico, fin dalla serie, assai nota, delle Piazza d’Italia. Tipicamente dechirichiana è anche la scelta del colore del cielo, una tonalità di verde che l’artista amava molto, perché gli ricordava i cieli mediterranei della sua madrepatria, la Grecia.
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De Chirico ha immaginato una sorta di grande palcoscenico teatrale sul quale ha messo in scena una rappresentazione di cui noi e la dea siamo spettatori. I due tendoni ai lati sono dunque un sipario aperto, gli edifici ad arcate sono la scenografia e i frutti sono gli attori di una misteriosa pièce teatrale. Lo spettatore può contemplare quel mondo ma non accedervi. Lo spessore del tavolo/pavimento in primo piano sottolinea la divisione tra il palcoscenico e il pubblico.
Un busto di Minerva sostituisce quelli più consueti di Mercurio e di Apollo. La dea, di proporzioni gigantesche rispetto agli edifici che le sono accanto, emerge dal fondo, inquietante presenza che sovrasta lo spazio circostante. Il suo sguardo sembra concentrarsi sulla frutta sparsa su un tavolo che è anche il selciato della piazza, quasi li stesse silenziosamente contemplando. Come la dea, anche noi spettatori osserviamo questi frutti dall’aspetto famigliare, la cui collocazione e il cui ruolo, però, non riusciamo a comprendere.
L’impiego di oggetti comuni decontestualizzati, e quindi resi altro da sé, è una delle intuizioni dechirichiane che più hanno influenzato le generazioni successive. Si pensi anche soltanto al Tradimento delle immagini di René Magritte o alle Zuppe Campbell di Andy Warhol, ma anche, in un certo senso, allo Scolabottiglie di Marcel Duchamp. Giorgio de Chirico ha aperto strade straordinarie, poi battute da molti altri artisti.