Basta anche solo pensare “mi sont de quei che parlen no” per sapere che là dietro c’è “ma mi ma mi ma mi, quaranta dì, quaranta nott, a San Vittur a ciapaa i bott” senza troppo interrogarsi cosa facesse quel tale a San Vittore per prendere delle botte. C’era perché era un partigiano e aveva deciso di non tradire i suoi compagni nonostante gli dicessero che tanto sapevano già chi fossero. Si tratta di questo: di saper rendere immortale due cadenzati monosillabi affittati alla voce unica di una milanese di appena vent’anni che sarebbe diventata un’icona grazie a quei versi. Occorre mettere dei nomi: quello di chi scrive è Giorgio Strehler, l’uomo che ha riscritto la storia del teatro italiano nel dopoguerra, quello di chi canta Ornella Vanoni, la donna che ha attraversato la storia della musica italiana prestando la voce solo ad alcuni dei più grandi autori.
Quella storia diventa un concerto mercoledì 14 febbraio al Manzoni di Monza, quando Ornella Vanoni, reduce da Sanremo a distanza di alcuni anni da quel 1934 in cui la carta di identità iscrive la sua nascita, è tornata al Festival con la canzone “Imparare ad amarsi” con Bungaro e Pacifico.
Sarà sul palco di Monza con “La mia storia”, accompagnata da Roberto Cipelli, Bebo Ferra, Loris Leo Lari, Piero Salvatori tra pianoforte, chitarra, contrabbasso e violoncello.
“La mia storia” è il nuovo nome dato allo spettacolo con cui la Vanoni lo scorso ottobre ha riaperto il teatro Strehler dopo la chiusura per lavori. A lei, che più di chiunque ha intrecciato la storia del drammaturgo milanese, il compito di inaugurare lo spazio che porta il nome del regista morto il 25 dicembre del 1997, vent’anni fa.
«La sua carne era il teatro, lui era teatro dai piedi ai capelli» ha raccontato alle telecamere del Piccolo pochi mesi fa: «Ho sempre studiato all’estero, sono tornata a 21 anni e non sapevo cosa fare di me, non cercavo marito. Finché un’amica di mia madre mi disse “perché non fai l’attrice?”. Non avevo nessun sacro fuoco, facevo pena, per timidezza, comunque vado ai provini del teatro: rimaniamo in otto, e durante la selezione ho sentito una voce femminile, era Sara Ferranti, “ho sentito qualcosa di interessante”. Tutto è nato da lì: Giorgio alla fine dell’anno mi ha dichiarato il suo amore. E secondo voi non mi sarei dovuto innamorare? L’ho fatto, uno scandalo».
Poco oltre sono nate le canzoni della mala e quella figura in petite robe noir che avrebbe abbracciato in una volta tanta milanesità ferita dall’occupazione e fiera della resistenza e quelle nuance esistenzialiste che al di là delle Alpi si incarnavano in Sartre, Camus e Juliette Gréco.
Ma la voce di Ornella Vanoni non si sarebbe consumata lì. Basta dire “Senza fine” per sapere che dopo ci può essere “tu se un attimo” senza fine oppure semplicemente “na na na na na”, perché di cinque sillabe si tratta e comunque funziona: ma funziona di più se là dietro il testo di Gino Paoli c’è la voce unica di Ornella Vanoni, che poche settimane fa aveva ancora la voglia di raccontare come a distanza di tanti anni (“Senza fine” apre gli anni Sessanta) fa concerti «con gioia, mi diverto, io non potrei mai finché mi reggo in piedi smettere, il rapporto con il pubblico è emozione, bisogna intrattenerlo, mi riesce bene e ho un gruppo con cui mi diverto, mi sembra di rivivere Giorgio»: ero timida, racconta, timidissima, e avrei voluto veder comparire le sette piaghe d’Egitto in sala piuttosto che salire, per tanti anni. «Poi un giorno mi sono detta: vuoi vedere che sono brava?».
La risposta anche mercoledì, 14 febbraio, dalle 21 sul palco del teatro Manzoni di Monza a poche ore dalla fine di Sanremo 2018: biglietti disponibili anche su teatromanzonimonza.it.
È la prima edizione di “Musica al Manzoni”, la nuova sezione musicale che da quest’anno arricchisce la programmazione del Teatro Manzoni di Monza. Il cartellone si completa venerdì 13 aprile con Gino Paoli e Danilo Rea.