Se ci sarai? «Sarà fantastico e avrò l’occasione di andare in giro per l’Italia e incontrare tante persone e parlare con loro». Altrimenti? «Sarà fantastico e avrò l’occasione di andare in giro per l’italia e incontrare tante persone e parlare con loro». Claudio Volpe non ci sarà, ma ci è andato vicino, per la seconda volta consecutiva e a soli 22 anni di età. Ma nel giorno del’attesa della penultima selezione del premio Strega, il romanziere rispondeva così: «Che io ci sia oppure no, è fantastico. La verità è che fa lo stesso, sono felice di avere trovato due Amici della domenica (quelli che candidano ogni anno un romanzo al premio letterario più importante d’Italia, ndr) che hanno scelto il mio libro, senza mediazioni, senza compomessi».
Un anno fa per il suo lavoro d’esordio, “Il vuoto intorno”, ci avevano pensato addirittura Dacia Maraini e Paolo Ruffilli. Quest’anno sono stati Renato Minore e Cesare Milanese. Martedì sera il premio Strega ha selezionato la dozzina finale e Claudio Volpe non c’è, ma non importa, assicura: «Per me è sempre tutto qualcosa in più», diceva nel pomeriggio. Otto giorni dopo, mercoledì prossimo, 24 aprile, lo scrittore catanese che studia giurisprudenza a Roma sarà a Monza, ospite della Casa della poesia per la nuova stagione di Mirabello cultura (ingresso libero, alle 17.30 a villa Mirabello nel parco, si raggiunge in auto da Vedano). Il nuovo romanzo è “Stringimi prima che arrivi la notte”, pubblicato come il primo da Anordest, «scritto interamente dopo il primo», racconta l’autore, niente di estratto da un cassetto per cavalcare il successo rapido e inaspettato di “Il vuoto intorno”.
«È nato non per un incontro personale ma per la scoperta del mondo delle ragazza Pro Ana, la personificazione dell’anoressia », e di anoressia parla il romanzo almeno come porta di ingresso: quello che nel primo libro era la sindrome di Down – il figlio di un padre che ascoltava il racconto di una vita di dolore e della capacità di rinascere una, dieci, mille volte – qui è il disturbo dell’alimentazione, un’altra incarnazione del male e la possibilità di riscatto, la premessa di una via d’uscita «che è sempre grazie agli altri, perché quello che sembra impossibile da soli spesso è possibile con l’aiuto di altre persone». La protagonista è una ragazza adottiva ormai ventenne, platonicamente innamorata del padre, schiacciata dalla madre cardiochirurgo ossessionata dai cuori reali e metaforici: è Alice. Che trova rifugio nell’anoressia e nella sua personificazione perché nella finzione romanzesca e nella realtà i disturbi alimentari sono sempre la trasposizione fisica di altri mali, «la deformazione di un corpo che rappresenta un disagio diverso, un male in cui l’unica via di uscita è che ciascuno diventi cura dell’altro».
È la materializzazione del dolore, di un disagio esistenziale, che Volpe insegue plasticamente anche nella forma, «cercando una prosa lirica», densa, che vuole allo stesso mondo essere materia, «pensata e scritta di getto, con lo stomaco». «Un linguaggio plastico, sì, che rappresenti il dolore al lettore, che possa leggerlo e sentirlo, quanto la gioia, senza giudicare, ma sentendo fisicamente la sua presenza ». Un’idea di letteratura presente, e presente appunto in forma fisica, che ascolta prima di tutto sé, l’autore, quel Claudio che, in un breve testo pubblicato sul suo blog personale just-humanity.blogspot.it, si racconta etimologicamente come zoppo, claudicante: «Di chi ha bisogno di un sostegno, di un’altra persona, per andare avanti». Perché la sintesi è questa, dice Volpe: c’è felicità e dolore, ma se ne esce insieme, mai da soli. È condivisione. Come la scrittura. «Che ha tre fasi. Nasce nella testa, si trasforma in scrittura, poi bisogna portarla fuori, parlarne con gli altri: è il suo destino».