Restauro finito nel Duomo di Monza. Non proprio. Mentre i protagonisti del titanico e minuzioso lavoro che ha riportato a uno splendore mai visto prima la cappella di Teodolinda si godono il meritato successo, il lavoro di ricerca e monitoraggio continua.
Tutto è pronto per la restituzione della cappella alla città. L’appuntamento è per venerdì 16 ottobre, alle 11, in duomo. Dopo i saluti istituzionali e la consegna ufficiale delle chiavi della cappella nelle mani dell’arciprete monsignor Silvano Provasi, il capolavoro degli Zavattari sarà ufficialmente illuminato e aperto al pubblico. Per l’intera giornata, e fino alle 18, si potrà accedere gratuitamente alla cappella.
Naviga l’immagine ad alta risoluzione
Tolti coperture e ponteggi e restituito alla città il capolavoro degli Zavattari, il silenzioso e costante controllo dei parametri della cappella procederà nel tempo. Viva e vitale, così l’hanno percepita i tecnici che per sette anni hanno fatto dei 500 metri quadrati della vita della regina dei longobardi la loro casa. Viva a tal punto da conoscerne (e non è un’esagerazione) ogni singolo centimetro.
«Il monitoraggio è uno strumento essenziale per un lavoro orientato alla conservazione programmata, che punta alla prevenzione più che all’intervento, che raccoglie e individua un insieme di misure periodiche per contenere e ridurre il progressivo deterioramento del bene culturale». Così spiega Giuseppe Caprotti, direttore dei lavori, nel volume “Il ritorno di Teodolinda”, edito dalla Fondazione Gaiani, che racconta proprio le fasi del restauro.
Immensa è la banca dati che raccoglie informazioni tecniche e scientifiche, ricavate grazie a innovativi strumenti tecnologici, dal laser alla nanotecnologie, che hanno permesso di restituire dettagli e particolari preziosi perduti nei secoli. Ecco allora che sotto gli occhi del team di restauratrici sono ricomparsi i fasti dorati della corte della regina. Il catafalco che sorregge il corpo senza vita di Autari, sempre percepito come un informe cassone scuro, ha svelato un damascato prezioso e ricchissimo o ancora nella coppa nuziale della regina si è potuto ritrovare il vino rosso riflesso nelle pareti dorate del calice.
«Sappiamo quante giornate di lavoro hanno impiegato gli Zavattari per ogni singola scena, conosciamo l’esatta posizione di ogni punzonatura e quali sono stati i disegni preparatori e persino i ripensamenti. Ora, davvero, conosciamo tutto di questa cappella», commenta entusiasta Titti Giansoldati Gaiani, custode da oltre vent’anni della cappella.
I tecnici, inoltre, sono riusciti a mappare ogni colore presente sulle pareti, ricavando la composizione colorimetrica di tutto il ciclo pittorico. Una cura dei dettagli, anche quelli cromatici, applicata anche per la scelta del tendaggio che si aprirà come una sorta di sipario all’ingresso della cappella. Non un colore qualunque ma un bordeaux con una punta di viola, del tutto simile alla stoffa del mantello della regina assisa sul trono. Una resa in quadricomia degli abiti dipinti, un ritorno nel terzo millennio di quei drappi damascati e impreziositi di gemme e ori che gli Zavattari vollero far indossare ai loro personaggi.
Tanta minuta passione e chirurgica precisione saranno raccolti in un atlante fotografico, edito dalla Fondazione Gaiani, che verrà pubblicato entro il prossimo anno. Un racconto per immagini di una storia, quella della cappella e del suo ritorno, destinata a fare storia.