Il 23 aprile è la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore istituita dall’Unesco. Il Cittadinomb la festeggia con un paio di storie di libri dalle radici monzesi. È quella dell’editore Johan&Levi, che ha festeggiato dieci anni. Ne parla Giovanna Forlanelli.
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C’era il mondo dei cataloghi, certo, poi vai a trovarli quelli che non sono fatti per un puro desiderio di accompagnare la mostra ma per aggiungere qualcosa alla storia dell’arte. E poi altrove non era così: c’erano le biografie, i testi critici, gli aggiornamenti. Qui ma, forse, chissà. Non proprio. Ed è per questo che Giovanna Forlanelli (in piedi nella foto con la sua redazione), manager del mondo farmaceutico con Rottapharm Madaus prima e Rottapharm biotech oggi, ma collezionista d’arte, ha messo insieme insieme le sue due prerogative: c’è uno spazio da occupare, ha pensato dieci anni fa, nel 2005. E va occupato. La casa editrice Johan&Levi è nata così, a Monza, fondata da lei. Poi ha fatto il giro d’Italia. Adesso ha iniziato a varcare le Alpi. I suoi dieci anni li ha festeggiati con uno stand al Miart di Milano, settimana scorsa. Come dire: sì, ci siamo.
Quindi, tutta questione di intuito, Giovanna Forlanelli?
Sì, non credo si sia trattato di esigenza. Piuttosto di passione e intuizione: creare in Italia una casa editrice specializzata nell’arte contemporanea, che mancava totalmente. Io colleziono da sempre, viaggiavo spesso e spesso non trovavo volumi interessanti in Italia. Poi ho costruito un team di tre persone con cui ci siamo guardati attorno e abbiamo fatto scelte coraggiose. Dieci anni dopo, siamo ancora qui.
Grazie a cosa?
Primo, le biografie: la prima è stata quella di De Kooning, un testo che era stato premio Pulitzer nel 2004, la casa editrice è del 2005. Un grande sforzo, non solo economico, perché era un volume di 900 pagine da tradurre. Ma ci ha dato una grande spinta, ci ha fatto conoscere nel settore. Che peraltro è un settore in cui, in questi dieci anni, abbiano assistito a processo contrario: la continua fuoriuscita di operatori e case editrici specializzate. Come Bruno Mondadori. Una scelta vincente, perché ci siamo trovati da soli sul mercato italiano, per quanto si tratti di un mercato estremamente piccolo – e questo è il problema. Noi abbiamo fatto la scelta di staccarci dalla scelta preponderante, essere legati alle mostre, e ci siamo concentrati sulla saggistica. Abbiamo occupato uno spazio che si fa sempre più rarefatto dal punto di vista della concorrenza e della produzione e noi siamo sempre più presenti. Per questo abbiamo deciso di partecipare al Miart per la prima volta per i nostri dieci anni: i risultati, la sensibilità verso di noi si è vista.
Come?
Abbiamo creato la collana di arte ed economia che è l’unica in Italia, la collana delle biografie, la saggistica: l’ultimo volume di Danto di cui abbiamo preso i diritti noi, per esempio, o i diari di Ai Wei Wei che abbiamo pubblicato per primi in Italia. Tutto questo ci ha reso la casa editrice di riferimento per l’arte contemporanea e non solo in Italia. La cosa che mi fa più piacere è che da quattro o cinque anni, produciamo, non ci limitiamo a tradurre: la prima biografia interamente realizzata da noi è stata quella di Schifano, che ha avuto grande successo, poi Manzoni. Stiamo iniziando a vendere i diritti all’estero delle opere create da noi e questa è una grande opportunità.
Il segreto?
Siamo tutte col naso nel mondo dell’arte. E poi ho voluto grande qualità e quindi la prima cosa su cui ho investito è stata la redazione. Tutta interna. Un grosso sforzo economico, ma altrimenti le cose ti sfuggono. Se vuoi avere continuità anche al punto di vista stilistico, ti serve una redazione capace e competente. Cerchiamo di avere libri perfetti, tutti con apparato bibliografico importante, indice dei nomi completo: fanno la differenza, in questo settore.
Passato e presente: il primo libro e l’editoria digitale.
Il primo in realtà è stato un libro illustrato, vedute di Roma di Piranesi. Gli ebook? Sono importanti, ma sono un di più, per noi. Chi studia arte e vuole gli illustrati preferisce la carta.
E poi, il futuro.
Sicuramente la vendita dei diritti all’estero, sì, ma siamo anche diventati con i nostri cicli di presentazioni un elemento innovativo. Le presentazioni hanno sì un valore promozionale, ma anche educativo, divulgativo. Abbiamo una rete di amici e curatori che si è allargata, così come tanti giovani vogliono pubblicare con noi, e questa cosa ci fa piacere perché siamo diventati quello che volevo fossimo nel 2005: un punto di riferimento, un think, un punto di pensiero per la critica italiana che purtroppo non ha grandi riconoscimenti all’estero.
Ma è sostenibile dal punto di vista finanziario?
Resta un problema, dato dal numero di copie diffuse: in Italia siamo senza dubbio in crescita, ma all’interno di una nicchia di mercato. Che non è certo come quello degli Stati uniti, quello tedesco, francese. Detto questo, con le biografie abbiamo tiratura media di 3mila copie, che vendiamo. E nei musei la rete c’è e funziona, siamo di certo in tutti i bookshop. Anzi: capita che in alcune mostre la nostra biografia dell’artista venda più del catalogo stesso. Per cui anche chi gestisce il bookshop vuole i nostri libri. D’altra parte non c’è concorrenza diretta con altre case editrici.
Ci sarà un libro del decennale?
Non c’è un libro dei dieci anni. Per me è molto più importante essere arrivati ai cento libri prodotti. Tutti hanno una loro storia e tutti hanno alle spalle un pensiero condiviso all’interno della casa editrice. È il progetto complessivo, per Johan&Levi, a essere importante.