Una stagione breve, ma la stagione. Quella in cui il nomade Giovanni Segantini mette in sesto gli affetti, lo stile, lo sguardo. La stagione in cui tutto trova forma nella testa del diciottenne che si iscrive all’accademia di Brera e, da lì a una manciata di anni, incontra Bice Bugatti, la donna che lo accompagnerà per tutta la vita trascinandolo anche in Brianza.
A Nova, a Desio, a Pusiano, a Veduggio: il teatro di molte opere e il territorio in cui il pittore nato ad Arco di Trento avrebbe trovato la tavolozza che poi l’avrebbe accompagnato per il resto della vita, sotto la guida del mercante Vittore Grubicy. Anche di questo è fatta la retrospettiva dedicata a Giovanni Segantini al palazzo reale di Milano, dove fino al 18 gennaio un centinaio di opere ripercorrono l’intera carriera dell’artista in quello che è considerato un ritorno nella sua Milano d’adozione. «Uno dei più grandi artisti europei di fine Ottocento, ebbe in Milano una vera e propria patria dello spirito, una città di riferimento per tutta la sua breve vita. Anche a seguito del trasferimento nei Grigioni, infatti, Milano continuerà a restare il fulcro della parabola segantiniana e piazza favorita per l’esposizione delle sue opere» raccontano gli organizzatori, che hanno ben presente «il suo avventuroso pellegrinaggio dai colli della Brianza alle creste granitiche dell’Engadina», in una mostra che «narra la storia straordinaria della creatività culturale che si sviluppò nelle valli tra l’Italia e la Svizzera all’inizio del secolo scorso».
Gli attori sono il Comune di Milano stesso con Skira editore, poi la fondazione Mazzotta, che hanno raccolto a palazzo reale gli esordi di Segantini, gli scorci brianzoli, ritratti e nature morte di un artista che avrebbe concluso la sua parabola poco più che quarantenne sulle montagne svizzere che aveva scelto come rifugio, accompagnato sempre da Bice. I luoghi che aveva scelto, ricordano gli organizzatori, dopo avere realizzato a Caglio “Alla stanga”, la sua prima opera monumentale e dopo un ultimo breve soggiorno milanese.
Poi sarebbero stati Savognino, dove oscilla tra le istanze del simbolismo che avevano caratterizzato la sua prima stagione e il divisionismo dei nuovi anni («è significativo, se non anomalo, che a lui guardino, invitandolo ripetutamente alle proprie esposizioni, sia l’arte ufficiale europea che le avanguardie dissidenti come il Groupe des XX di Bruxelles o le nascenti Secessioni di Monaco, Dresda, Vienna»), Schafberg, Soglio, Maloja. Muore il 28 settembre del 1899. A un passo dal nuovo secolo. Che non avrebbe conosciuto ma che gli avrebbe riconosciuto il valore di un’avanguardia pressoché unica in Italia.