“Lunghezza di due braccia circa, alta un braccio e mezzo come un vitello di ordinaria grandezza”, ma la testa assomiglia a quella di un maiale, le orecchie a quelle di un cavallo, il “pelo lungo caprino bianchiccio sotto il ventre”, sulla coda “lunga e piegata” e al mento, mentre era rossiccio e corto sul dorso. Aveva poi “gambe sottili, piede largo, ugne lunghe e grosse, largo petto, e stretto fianco”.
Così lo aveva descritto un contadino dopo averlo inseguito dalle parti di Senago. E in fondo, un mese e mezzo dopo, quando fu catturato un lupo sul quale far ricadere la colpa di dieci bambini massacrati nei boschi, molti non riconobbero in quell’animale esposto al pubblico l’assassino che avevano intravisto tra Brianza e Milano.
Dieci bambini uccisi e sbranati, altri feriti, adulti assaliti: era terrore vero quello che abitava sul fondo del Settecento nell’alto milanese, a dar retta all’anonimo cronista che nel 1792 ha dato alle stampe il “Giornale circostanziato di quanto ha fatto la bestia feroce”: il resoconto di una serie di omicidi attribuiti a un misterioso animale poi identificato con un lupo. Quel testo è tornato alle stampe da poco grazie alle edizioni “Il muro di Tessa” e alla cura di Giovanni Biancardi e Raffaele Russo, sotto il titolo “La bestia feroce”, ed è un thriller che col gusto di poi ha il sapore di un’opera aperta e di un giallo non risolto fino in fondo, con un lupo espiatorio catturato, lapidato, impagliato e messo in mostra “agli scalini del duomo” – la Rinascente di oggi – per 10 soldi a persona. Nobili esclusi: loro potevano pagare quanto la loro discrezione suggeriva.
Era la vigilia di Natale di oltre secoli fa, il 1792: erano passati cinque mesi da quando Giuseppe Antonio Gaudenzio di Cusago, 10 anni, era stato rispedito da suo padre nei boschi la sera per recuperare la vacca che aveva perso. La data, il 4 luglio. La vacca l’aveva ritrovata il padre al mattino, di suo figlio era rimasto poco: qualche giorno dopo furono ritrovati “un giupponcino, e de’ calzoncini lordi di sangue, un cappello e alcuni avanzi del corpo di un fanciullo divorato”. Sarebbe stato solo il primo di una lunga serie di massacri: il 9 luglio un gruppo di ragazzi di Limbiate scappò da “una brutta bestia, simile a un grosso cane, ma dall’orribile aspetto e di strana forma” senza riuscire a mettere in salvo Carlo Oca, 8 anni, divorato. Ad agosto a Senago un animale riuscì a catturare Antonia Maria, anche lei di 8 anni, liberata troppo tardi da una presa al collo da 45 ferite che le costò la vita. Poi Arluno, Cesano Boscone, Trenno, Barlassina, Bareggio e Terrazzano.
Due mesi di terrore. Con un aggressore che sembra uscito da un bestiario medievale e che ha tutta l’aria dei predatori che hanno attraversato l’immaginario collettivo prima e dopo: i lupi mannari, animali della mitologia norrena, gli warg di Tolkien, affondando le radici nella lonza di Dante all’Inferno della Commedia.
Un lupo era comunque una spiegazione comoda, perché le loro aggressioni sono testimoniate per secoli nell’area milanese: una minaccia nell’ombra. Assalti nella Martesana contro dei bambini nel 1462, contro dei ragazzi nel 1528, cinque persone uccise da un branco a Misinto tra il 1575 e il 1578, quattro bambini massacrati a Bellusco tra il 1656 e il 1658 e poi un numero imprecisato ancora nel 1679. E poi tracce di un animale simile a quello descritto nel 1792 già avvistato nel 1740. Premi a chi uccide i lupi per tutto il corso del diciottesimo secolo. Ma le descrizioni in quei mesi dell’estate-autunno in piena età dei Lumi dicono anche altro, fino ai testimoni che assicurano che non si tratti di un vero animale,ma “di uno spirito infernale, o altroché d’analogo” e “v’ha sin chi dice averla trovata di notte in mezzo ad un bosco in figura di gentil donzella”, scrive l’anonimo cronista.
Dopo un prima caccia generale fallimentare con 50 zecchini in premio per chi avesse catturato il misterioso animale, aperta dalle autorità milanesi, la taglia salì senza risultati fino a 150, oltre ai 20 messi in più sul piatto da Cavaliere Sannazari – appassionato di animali – per chi gli avesse portato l’esemplare. L’aveva mancato di poco un tal Rosana di Desio, che sbagliò di poco il colpo con lo schioppo, sempre ammesso che si trattasse dell’animale giusto. Nel frattempo c’era stato anche chi aveva sospettato dell’artista girovago Bartolomeo Cappellini, che si esibiva con due jene in gabbia ma che a Cremona era stato visto con una sola bestia: era stato persino interrogato, aveva dato risposte vaghe, poi aveva fatto perdere le sue tracce riparando in Veneto.
Alla fine la pratica il 20 agosto finì sul tavolo di Cesare Beccaria, funzionario governativo per gli Asburgo, che scelse tra i progetti quello due sacerdoti (e che sarebbe poi morti da l’ a due anni): trappole fatte con palizzate, una porta a ghigliottina, una preda viva all’interno. A spese dello Stato. Diciotto delle trenta previste furono pronte il 13 settembre. Furono loro pagate quattro giorni dopo. Ventiquattr’ore dopo in una cadde un lupo, fuori Porta Vercellina: fu preso a sassate, bastonato e poi impiccato. Era la bestia che tutti aspettavano, vero o meno che fosse. Al “processo” qualche testimone lo riconobbe, altri no, ma il 4 ottobre una relazione stabilì definitivamente che era il colpevole dei massacri, pur con molti, troppi dubbi: le trappole che mancavano furono comunque fatte realizzare. Alla vigilia di Natale la bestia feroce era diventata un pezzo da museo imbalsamata, esposta al pubblico a fianco del duomo. Le voci e le notizie di aggressioni e omicidi, d’altra parte, erano evaporate. E pochi volevano ricordare come la piccola Regina Mosca il 10 agosto fosse stata assalita da una bestia che l’aveva aggredita al collo “sicchè parea che le fosse al tempo stesso stato succhiato il sangue della vena jugulare”.Un’avidità di sangue che – riportava l’anonimo – non apparteneva né ai lupi né agli orsi. Forse jene e “lupi cervieri”, cioè linci. Forse.