C’è un pezzo di storia della rivoluzione d’ottobre in Brianza. O meglio: un pezzo della sua eredità in tutta l’ex Unione sovietica. Una storia di sopravvivenza, in questo caso del metallo. Al Rossini art site di Briosco (in via Col del Frejus) sopravvive una statua di Lenin, quelle dell’immaginario diffuso del secolo scorso, il condottiero bolscevico che la retorica sovietica ha consegnato ai posteri.
Alla Brianza l’ha consegnata Alberto Rossini, imprenditore, mecenate illuminato e collezionista che ha salvato dalla fusione un monumento a Lenin arrivato in Italia dall’Estonia dopo il 1991, l’anno in cui lo Stato ex sovietico si è dichiarato indipendente dopo l’erosione dell’Urss. Anche a Tallin i simboli del regime comunista sono stati abbattuti – e ne è testimonianza il cappio che ancora circonda il collo del Lenin brianzolo – ma quando la statua è arrivata a Milano per essere fusa gli operai hanno deciso che la furia iconoclasta dell’est non era necessaria al di qua dell’ex cortina di ferro.
È poi arrivato Rossini a intuire che c’era un’epoca da salvare – complice il rifiuto degli operai della fonderia milanese di distruggere l’opera – e ha acquistato il monumento (con un trasporto in segreto) consegnandolo ai reparti della Ranger di Carate. La statua è poi passata al patrimonio della fondazione che ha creato a Briosco il Rossini art site ed è diventata, un anno fa, parte dell’installazione “Container Lenin” dell’artista Flavio Favelli per poi tornare testimonianza storica nella collezione del Ras, dove è ancora visibile.
E al netto degli anatemi, come quello ricevuto da Alberto Rossini nel 1997, quando qualcuno gli suggeriva di regalare la statua a Fidel Castro perché affondasse insieme a Bertinotti, Cossutta, D’Alema, Veltroni, Bossi, Cito e Pannella. Una bizzarra compagnia alla quale Rossini (poi scomparso nel 2015) e Lenin sono sopravvissuti.