Il secolo breve è stato un’eternità. Perché è durato, ovviamente, come tutti gli altri, ma ha bruciato, spesso bombardato, distanze moltiplicando in modo progressivo ed esponenziale culture, contatti, spostamenti, persone, cose. Fino a riempire quei cent’anni in una saturazione mai provata prima. E allora, per non perdersi, occorre costruire mappe mentali: accumulando, per esempio, inventariando, direbbe Lucia Pescador, ma facendolo in modo attivo: con la mano sinistra, per dirne una, così che una copia non sia ma copia e basta, ma il proprio modo per assorbire l’oggetto. Sottoponendolo a un processo di relazioni con tutti il resto proprio perché diventato personale.
Si è mossa così la ricerca dell’artista di Voghera alla quale è stato assegnato il riconoscimento alla carriera dall’ultimo Premio Morlotti di Imbersago, che ora arriva alla Leo Galleries di Monza (via De Gradi) con un personale curata da Simona Bartolena e Giorgio Seveso.
“Copiare vuol dire anche ricostruire, e copiare con la mano sinistra, per me che non sono mancina, è stato ed è ancora un modo per scostarsi dall’imitazione pur seguendo la sostanza, un modo per entrare dentro, per interpretare” ha detto l’artista nata nel 1943 e poi passata a Milano dal liceo artistico all’accademia di Brera, dove si è laureata con una tesi sul Realismo esistenziale e in particolare su Bepi Romagnoni con Guido Ballo relatore.
“Sono una collezionista bulimica, e la mia casa è diventata davvero negli anni una Wunderkammer fitta fitta di ritrovamenti e scoperte. Se una cosa mi incuriosisce o mi interessa per qualche suo aspetto la raccolgo e la metto da parte, la disegno, la copio. Entra nel mio panorama” ma lo fa appunto con la mano sinistra, passando da Topolino a Pinocchio, da Malevich alla Popart.
Ne nascono pareti di opere che sviluppano e mescolano temi e serie, un “ palcoscenico” che “è un interno dove la luce viene dal lato destro e sulla parete scorre il tempo, dall’ombra alla luce”, in cui l’artista avverte “dei cori, delle sequenze più diverse, allestimenti possibili dove io volo a vista, dove capisco guardando. Sono come le figurine del mondo, un album di figurine a volte in senso drammatico, a volte in senso giocoso”. Che nascono su pellicole, carta da musica, pagine di libro, registri, quaderni spesso già scritti che, ha detto Pescador in un’altra occasione, sono il “brusio del Novecento”.
“Portatori d’anima” è il titolo della mostra che riporta la definizione che l’artista dà tra gli altri di Baselitz, Kiefer, Richter, Beuys “nel senso che le loro cose mi sembrano dense di memoria e di senso, sono nelle mie corde, mi toccano. Le loro opere mostrano di avere un’anima dentro, e sono capaci di fartela sentire. Per questo mi piace copiarli, mi piace rifarli a modo mio”.
Cresciuta artisticamente nel milieu d’oro della Brera degli anni Sessanta, ha iniziato a esporre nel 1965 alla galleria Arte Centro di Milano, facendo poi parte del Gruppo Metamorfosi negli anni ’70 – ’80 e lavorando accanto alle colleghe Benedini, Bonelli, Sterlocchi in un periodo in cui l’arte al femminile cercava di affrancarsi da un panorama in cui era poco concesso alle donne. Sarà di fondamentale aiuto anche il ruolo di Lea Vergine, curatrice e critica d’arte scomparsa nell’ottobre 2020, che la propone alle Stelline di Milano con la mostra “Una nave per Kazmir” nel 1992.
Era la vigilia del processo creativo che ha dato vita da allora a oggi all’Inventario del Novecento con la mano sinistra”. Ha esposto tra l’altro in Italia, a New York, a Bruxelles, a Mumbay a Shangai. Dopo “Wundernachtkammer” a Palazzo Te a Mantova, nel 2010, personali anche al Maga di Gallarate e alla Triennale di Milano. In via De Gradi 10, sabato 19 febbraio, al 12 marzo, aperta da martedì a sabato 10-13 e 15-19.