Tic tac. Tic tac. Tic tac. Quando Arturo Vermi adotta il suo alfabeto di linee sincopate su una tela o su qualsiasi altro supporto, sembra parlare la lingua di Lucio Fontana, che affondando una lama sul cotone o nella ceramica, o disegnando la luce con i neon, raccontava come lo spazio avesse altre dimensioni che non la baseperlunghezza che l’arte, fino ad allora, aveva rappresentato.
In realtà quei segni scalfiti sulla superficie dicevano altro, e Vermi lo avrebbe spiegato più chiaramente più tardi, con l’Annologio: non era interessato fino in fondo dallo spazio, stava parlando soprattutto del tempo, della sua scansione, dei suoi ictus e dei suoi inciampi. Del suo essere sempre uguale a se stesso eppure diverso: il racconto universale di sé, di ogni sé.
Come “Paesaggio” del 1975: uno spazio bianco, un singhiozzo rapido, un rettangolo argentato: un paesaggio innevato, il passo che increspa il silenzio, il respiro che si allarga. Oppure un sogno: il vuoto che si riempie di un affanno accelerato, un pausa calma al malessere. Oppure quel “Diario” di un anno prima: il fondo è d’oro per dire che c’è sempre il meglio ad aspettarci, basta volerlo. In mezzo la scansione irregolare e imperfetta del tempo che scandisce lo spazio – i minuti – in maniera precisa ma mai identica a se stessa.
Vermi racconta questo: che il tempo va ascoltato e c’è un modo per descriverlo, quei tratti regolari ma mai perfetti che gestiscono la vita di tutti. Per guardarlo e capirlo c’è una mostra: aperta giovedì 19 gennaio alla Galleria civica di via Camperio, a Monza, raccogliendo opere che raccontano l’intera carriera dell’artista che nato a Bergamo e passato dalla Brera del bar Giamaica ha scelto lo sprofondo della Brianza, tra Verderio e Paderno d’Adda, alla ricerca di una felicità fatto di riappropriazione del tempo privato. La mostra “Lo spazio e il tempo – La ricerca di Arturo Vermi dal Cenobio alla Felicità” promossa dal Comune di Monza in collaborazione con l’Associazione Arturo Vermi e realizzata con il sostegno di Leo Galleries e di Totem Immobiliare, curata da Simona Bartolena, è aperta dal 20 gennaio al 26 febbraio (da martedì a venerdì 15-19, sabato e festivi 10-13 e 15-19).
Dopo il 1964, «abbandonati i retaggi dell’informale, Vermi (scomparso a ottobre 1988) ritrova il suo segno: un segno inconfondibile, di straordinaria efficacia, in cui risiede l’essenza stessa della sua ricerca – scrive Simona Bartolena riferendosi alla scelta stilistica più iconica di Vermi – . Innanzi tutto c’è la sua meravigliosa capacità di sintesi: una sintesi perfetta, assoluta, che sa includere in un unico tratto tutta la conoscenza. Nei segni essenziali, ridotti a un unico sicuro gesto, di Vermi si nasconde la memoria collettiva, essi sono luoghi nei quali la dimensione universale incontra quella privata, la vita reale – quella sostanza fisica che Vermi non perderà mai di vista – si apre alla luce eterna dell’oro. Sono i segni reiterati e ossessivi dei Diari, ma anche quelli singoli, esatti, delle Presenze e delle Marine e quelli nervosi, più dinamici e rapidi, dei Paesaggi». Poi c’è il tempo, ricorda Bartolena, «il tempo scandito dal gesto: un tempo non sempre regolare ma comunque inesorabile. C’è il ritmo del tempo, quello lento della meditazione e quello rapido e sincopato della vita quotidiana…».