Non che sia chiaro cosa c’entri la Galleria d’arte moderna di Milano con la Pinacoteca Ambrosiana, ma insomma, dev’essere andata più o meno così: non mi sono sentito trattato bene dalla Milano dei musei, quindi addio. La storia è quella di un Caprotti (Gian Giacomo) che è appartenuto a un Caprotti (Bernardo) e di un testamento, quello dello stesso fondatore di Esselunga.
Bisogna andare alle pagine 6 e 7: «Avendo donato alla Pinacoteca Ambrosiana un dipinto di scuola leonardesca di possibile grande interesse ed ingente valore, ed avendo da ciò ottenuto una esperienza molto negativa, fino al dileggio da parte degli studiosi ed esperti dell’istituzione medesima, segnatamente monsignor Buzzi e tale Marani, cancello le donazioni previste alla Galleria di Arte Moderna della Città di Milano».
Ci ha pensato Repubblica a capire cosa sia successo, dal momento che all’epoca della donazione all’Ambrosiana non erano emersi dissensi: nel 2013 Bernardo Caprotti aveva deciso di donare un Cristo alla pinacoteca milanese. Lo aveva acquistato nel 2007 in un’asta di Sotheby’s, a New York e per quanto l’attribuzione non fosse certissima, tutto lasciava intendere che si trattasse dell’orenese Gian Giacomo, il Salaino, il diavolaccio, come l’aveva soprannominato Leonardo da Vinci dopo averlo preso a bottega ragazzino (il Must di Vimercate gli dedica una sala). Sarebbe rimasto con Leonardo fino alla morte del maestro. Quel quadro è firmato “Fe Salai 1511 Dino”, cioè”lo fece Salaino a novembre del 1511”. Sarebbe in realtà anche l’unica opera firmata dall’orenese, le altre a lui ricondotte sono attribuzioni.
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Ma, scopriamo ora, Caprotti (Bernardo) con l’opera aveva fatto avere all’Ambrosiana anche un volume, “Il Caprotti di Caprotti” pubblicato da Marsilio proprio nel 2013 e firmato da Maurizio Zecchini, che ha studiato il restauro: a suo avviso la firma sarebbe stata abrasa e riscritta, quindi più una dedica che una firma. Insomma: potrebbe essere – sarebbe – un Leonardo.
«Voleva imporci l’attribuzione a Leonardo, ma io dovevo difendere il prestigio della mia istituzione» ha risposto monsignor Buzzi, prefetto dell’Ambrosiana, a Repubblica.
E poi c’è Marani (“tal Marani”), che è storico dell’arte e docente del Politecnico di Milano, l’altro tirato in ballo dal testamento, che sempre a Repubblica ha dichiarato: «Una donazione importante», ma è sconcertante e intollerabile che debba difendermi dalle accuse di un dilettante. Chiunque conosca Leonardo capisce che quel dipinto non può essere suo».
Eppure, par di intendere dalle pagine 6 e 7 del testamento, Caprotti (Bernardo) la pensava diversamente: e con l’Ambrosiana ha cancellato dai lasciti tutta Milano. Preferendo Parigi almeno per una tela, che però potrebbe avere altri problemi. Il fondatore di Esselunga ha donato al museo del Louvre un Manet tratto da un Tiziano, “La vergine col coniglio bianco”, che si trova proprio nel museo più visitato al mondo. Il testamento recita così: «con l’onere che venga esposto accanto al Tiziano originale». Ma il Manet appartiene all’epoca moderna: un periodo che nel sistema museale parigino lo riconduce al Museo d’Orsay. Chissà come andrà a finire.