Quella Corea l’aveva raccontata in diretta dall’altra parte del mondo anche sul Cittadinomb.it, in un “Diario da Seoul”. Era il 2010 e la fotografa Susanna Pozzoli cambiava un’altra volta parallelo e meridiano – lei nata a Sondrio e poi tutto e niente, parigina e monzese, bergamasca e americana, chissà: sul suo curriculum si legge “vive e lavora in Italia”, ma anche quello è vero fino a un certo punto.
In Corea del Sud, a Seoul, era atterrata per una residenza artistica al Mongin art center, in un programma organizzato in collaborazione con Montrasio arte. «La difficoltà quasi insormontabile della lingua si è fatta sentire sin dall’inizio, il nazionalismo fortissimo, l’ilarità ed espressività dei coreani e l’attenzione oserei dire ossessiva per l’estetica e il look da parte dei giovani e non solo» aveva raccontato in una delle prime pagine del suo diario dell’altro mondo. E poi quella città abnorme, inabbracciabile e tutte le impressioni che un’artista visuale registrava: i cavi che si intrecciano a grovigli in aria, la skyline, l’ossessione per il nuovo e i quartieri in permanente cantierizzazione, i contrasti fortissimi tra la tradizione e l’innovazione. Appunto. Per Susanna Pozzoli era un nuovo modo per leggere un tema che sentiva dal periodo newyorkese, quando aveva radiografato nell’intimità delle case private la gentrification di Harlem, l’esodo delle persone di ceto inferiore da un quartiere sotto la spinta di un gruppo sociale più ricco che lo occupa progressivamente. Succede ovunque, succede spesso.
L’altro volto della gentrification, soprattutto in un paese ad alta frequenza tecnologica, è il lavoro che cambia: e allora “Handmade. Korean way”, questo erano diventati i suoi mesi a Seoul, il ritratto di una megalopoli che si misura in byte ma in cui sopravvive l’esercizio della manualità arcaica, una nazione «capace di difendere e custodire i protocolli di lavorazioni artigianali tramandate nei secoli – scrive Alberto Crespi nel presentare la mostra che cura alla saletta reale della stazione per gli Amici dei musei – in cui ogni procedimento risulta ottimizzato, ma secondo modalità e tempi difficilmente comprensibili per le procedure produttive occidentali».
Con un’avvertenza: non si tratta di un reportage, ma di arte. «Rispetto agli scatti americani di “On the block”, le immagini coreane risultano a mio avviso meno dense, più fluide, testimoniando un ulteriore incremento della capacità di analizzare i dati visivi e di astrarne gli essenziali a trasmettere – nel costante rispetto delle storie dei luoghi – la particolare e umanissima atmosfera» osserva ancora Crespi, ricordando che è un’umanità descritta per litote: le persone non ci sono mai, sono le loro tracce a raccontarle. Presentato un anno fa al Mia Art Fair, il progetto sarà inaugurato a Monza lunedì 13 alle 18, poi fino al 25 maggio ( da martedì a sabato 16-19).
Rileggi il “Diario da Seoul” di Susanna Pozzoli per ilcittadinomb.it:
Diario da Seoul: il mito del nuovo (11 novembre 2010)
Diario da Seoul/1: la città vista dall’alto (12 novembre 2010)
Diario da Seoul/2: cavi e grovigli (15 novembre 2010)
Diario da Seoul/3: Highline alla coreana (18 novembre 2010)
Diario da Seoul/4: Al lupo! Al lupo! (26 novembre 2010)
Diario da Seoul/5: Fine degli Asian Games e il lupo? (1 dicembre 2010)