l progetto “affettività”, promosso al comprensivo Aldo Moro di Seregno dalle docenti Chiara Lombardo e Susanna Ronchi, ha avuto un ambasciatore importante nello scrittore Enrico Galiano autore del libro “La società segreta dei salvaparole”, edizioni Salani. All’evento che si è svolto nella palestra dell’istituto hanno partecipato tutte le classi prime e terze delle medie Manzoni, le classi seconde erano in gita, presenti il dirigente scolastico Francesco Digitalino, la vice Rita Provenzano, unitamente agli insegnanti Fabio Giannese, Federico Baretta e Paolo Ferrario, oltre al presidente del consiglio d’istituto, Emanuele Vaghi e la presidente del comitato genitori, Paola Agosta. Il libro di Galliano narra di una storia di amicizia, coraggio e lealtà che insegna l’importanza di proteggere sempre le parole, la nostra arma di difesa più preziosa contro il male del mondo. L’autore è stato accolto dagli studenti in maniera molto festosa, poi con loro, che già conoscevano il libro per averlo letto nelle settimane precedenti, s’è intrattenuto per due ore a dialogare affrontando con loro emozioni, paure e le speranze tipiche del mondo degli adolescenti. Al termine è stato salutato da un boato di evviva e da una grandinata di applausi.
Alle Moro di Seregno si parla di affettività grazie alla docente Chiara Lombardo e Susanna Ronchi
La docente Chiara Lombardo ha spiegato che:” l’incontro con Galiano doveva essere qualcosa di diversa da una conferenza, perché i ragazzi hanno bisogno di qualcosa di diverso. Hanno bisogno di qualcuno che sia interessato a guardarli negli occhi, qualcuno che abbia voglia di chieder loro come stanno e che nel fare lezione sappia accendere il fuoco che hanno dentro e non spegnerlo, facendoli annoiare o facendoli sentire inadeguati. Poi ha aggiunto: “ho scelto di diventare insegnante perché volevo essere la persona giusta al momento giusto nella vita di qualcuno, soprattutto in quelle fasi in cui serve capire chi si vuol diventare. Che persona costruire. I ragazzi oggi parlano secondo un “mos”, un costume ed una lingua che sono in stile “codice d’onore”. Quando le autorità di un territorio aderiscono ad un “mos”, ad un costume di tipo criminale, come è accaduto a Seregno, non creano un problema solo a se stessi, ma dettano alla comunità e, quindi, anche ai più giovani, un modo di fare, di essere e di comportarsi ed i ragazzi lo usano nel loro modo di guardare la vita, nei legami e nelle responsabilità. Parlano come i personaggi di “Gomorra” e oggi come quelli di “Mare fuori”. Usano l’aggressività alimentata in loro da questi modelli e in un niente ti dicono “muori” e decidono che una persona va massacrata, punita, perché deve essere ridotta al rispetto, come se fosse una cosa. È esattamente quello che è successo alla stazione a Seregno o qualche giorno fa a Meda. Quando la mia generazione, sono degli anni ’70, sognava cosa fare da grande, si pensava di voler diventare famosi come un calciatore, un grande campione, una ballerina, un medico o uno scienziato che salvava tutti dalle malattie. Io voleva fare l’astronauta. Oggi i ragazzi vogliono diventare famosi e basta. Non si chiedono come ed in che cosa. Io credo in modelli positivi: credo che la scuola debba essere il perno dal quale far partire la vita pratica di ogni ragazzo”.