Gli anni Trenta per immagini la raccontano come ci si aspetta, per una donna della borghesia italiana: i vestiti chiusi sulle gambe che sembrano pronti per lo zampettio di un charleston, i capelli raccolti, i bastoni da sci attorno alla testa come solo chi poteva immaginarsi le vacanze quando le vacanze erano per pochi, una gamba appoggiata fuori dalla rara auto con punta e tacco discreto. Sembra uscita da un film di Francis Scott Fitzgerald, Carla Maria Maggi: e la sua arte non fa che chiudere il cerchio, con quel senso di bohème che ereditava tutta la belle époque per proiettarla sugli anni più bui del novecento che sono seguiti ai Trenta.
Carla Maria Maggi è “l’artista ritrovata” che la curatrice Simona Bartolena riscopre da questa settimana a Villa Borromeo d’Adda di Arcore per una mostra che svela il corpus pressoché completo dell’autrice che ha messo le mani sulla tavolozza per una stagione brevissima. “Si tratta di circa quaranta opere, tutte di altissimo livello: ritratti, nature morte e – cosa ben rara per una donna artista – nudi femminili dal vero” scrive Bartolena che annota come la mostra, ideata per il mese di marzo, sia stata traslocata a maggio, per proseguire dal 30 e fino al 26 luglio solo su prenotazione per garantire le misure di sicurezza: sabato e domenica, dalle 14.30 alle 17.30 (ultimo ingresso).
È prevista un’apertura straordinaria martedì 2 giugno sempre dalle 14.30 alle 17.30. Per le visite è necessario prenotarsi on line (dal 22 maggio): villeaperte.info. L’accesso sarà consentito a un massimo di dieci persone per volta nel rispetto delle norme di distanziamento e di sicurezza.
“A dodici anni dalla mostra a Palazzo Reale di Milano curata da Elena Pontiggia con un contributo della stessa Simona Bartolena, in cui fu esposta per la prima volta l’opera della pittrice – al tempo messa in relazione con i ritrattisti della sua epoca – l’opera di Carla Maria Maggi torna a essere presentata in un evento d’eccezione volto a riscoprire la sua figura d’artista e riflettere sulla condizione femminile nelle arti fino a tempi molto recenti”, si legge nella presentazione.
L’artista ha vissuto oltre novant’anni: era nata nel 1913 e discendeva dalla famiglia del letterato milanese Carlo Maria Maggi, sarebbe poi morta sedici anni fa, nel 2004, rimpiangendo gli anni della tela che fu costretta ad abbandonare per le costrizioni sociali della sua epoca. Nonostante l’apprezzamento, e gli studi con Pallanti, per i suoi anni Trenta restava una donna: dopo il matrimonio, le fu imposto di abbandonare l’arte per rispettare i canoni della buona borghesia cui apparteneva.
“Mise da parte il proprio talento e vestì i panni della moglie e madre perfetta. Ma prima di dimenticare il suo essere artista, la Maggi ebbe occasione di realizzare una serie straordinaria di opere che raccontano con grande talento e raffinata sensibilità il mondo che lei frequentava e rappresentava: da una parte il bel mondo dell’alta borghesia milanese, divisa tra la città e i luoghi di villeggiatura, dall’altra la bohème degli ambienti di Brera e della Scala, liberi e pieni di stimoli per chi, come lei, voleva vivere nell’arte”.
Il figlio Vittorio ha poi riscoperto il suo lavoro: e lontano dall’epoca in cui sono nate le tele, ha deciso di renderle pubbliche, fino alla mostra milanese. Che ora rinasce ad Arcore, con un inedito. “Sensibile all’arte, il figlio volle fare luce sul passato della madre” scrive Bartolena: le opere della Maggi sono state esposte a Milano, a Londra e al National Museum of Women in the Arts di Washington (“dove La Sigaretta è stata in prestito temporaneo per qualche anno”) e sono diventate motivo di riflessione e di studio della condizione delle donne artiste fino a tempi molto recenti.