Là dentro ci sono delle immagini. Non sembra, davvero: a non saperlo non resterebbe che perlustrare dito a dito le fratture, le faglie, la tettonica a zolle di cenere e pigmenti che ne fanno meno di un metro quadro di materia e cornice appesa a un muro misurandone le domande. Ma a saperlo, che là dentro ci sono delle immagini passate al fuoco e ridotte in cenere, cambia tutto: si raccoglie l’idea che non si tratta di negare la figurazione, si tratta di andare allo stesso tempo alle sue radici e al suo domani.
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Va letta così “Geografia temporale, delle Stelle fisse IV”, l’opera di Sophie Ko che ha vinto l’edizione del Premio internazionale di pittura di Lissone del 70esimo anniversario: sabato 3 dicembre, negli spazi del Museo di arte contemporanea di Lissone, un boato ha accolto la vittoria della giovanissima artista milanese (nata a Tbilisi, in Georgia, nel 1981).
La sua arte è premessa e conseguenza di quello che il premio ha voluto rappresentare: l’idea che il premio di pittura racconta un universo esistente oltre le sue campane a morto, nell’era delle installazioni e del site specific e dell’evanescenza della materia.
La pittura esiste, dice il Premio Lissone, anche se non è più quello che era. Fa i conti con la scultura, per esempio, sceglie il monocromo più spesso di quanto non si creda, ripercorre, ricostruisce e riscrive le sfide che l’arte contemporanea ha dettato nell’ultimo secolo, da quando si è accorta che quella cosa lì, tavolozza-pennello-tela-parete, non bastava più.
Lo ricorda anche la menzione speciale assegnata dalla giuria a Eugenia Vanni (che ha già vinto tanto, quest’anno, da senese della Lupa che ha tagliato il traguardo per prima per due volte ad agosto nel palio): il suo “Ritratto: tela di lino su tela di cotone” spiega una volta di più come la pittura esista ancora e sa trovare argomenti per descriversi, raccontarsi e ritagliarsi uno spazio di primo piano nell’oceano dell’arte.
Era questo l’obiettivo di Alberto Zanchetta, il direttore artistico del Mac che in pochi anni ha saputo ritagliare attorno allo spazio di viale Padania una cornice di primo piano nel panorama artistico nazionale e ha spiegato, negli allestimenti del settantesimo Premio Lissone, come la città brianzola sia stata a lungo il vertice irrinunciabile dell’attenzione italiana verso l’arte.
L’obiettivo del Premio era uno: declinare oggi la pittura osservando allo stesso tempo come non sia stata superata e come sia viva, facendo i conti con il suo essere “pittura oltre la pittura”. Per spiegarlo, lungo i quattro piani del Mac, ci sono quattro mostre, ma non sono strutturate in modo diacronico: l’arte di oggi, forse domani, di ieri e dell’altro ieri è distribuita in verticale senza rispetto dell’età delle opere per dimostrare che esiste un minimo comune denominatore che percorre le viscere dell’arte almeno dal dopoguerra in poi, e che la pittura di oggi ne è la naturale conseguenza.
Le premesse sono negli altri due premi: in quello alla carriera attribuito ad Alberto Biasi che ha esordito con il gruppo N, a Nicola Samorì che ha vinto il premio della critica tra i vincitori delle ultime edizioni del Premio. Ci sono poi tre libri per inquadrare, letteralmente, tutto: il catalogo e due volumi firmati da Zanchetta per far quadrare la storia del Premio Lissone. Per guardare avanti, come ha fatto il premio quest’anno, bisogna ripartire da lì: dai conti col passato.
Giovedì 15 dicembre, a partire dalle 21, visita guidata alle quattro mostre del Premio Lissone con il direttore artistico Alberto Zanchetta.