Suor Valentina Sala, 38 anni arcorese è tornata per alcune setimane nella sua città da Gerusalemme. Là, insieme a quattro consorelle della Congregazione di San Giuseppe dell’Apparizione assiste i feriti che arrivano da Gaza.
A giudicare dal volto sorridente, dalla parlata lieta, discreta ma sicura non si direbbe che ogni giorno ha a che fare con feriti gravi. Suor Valentina Sala, 38 anni, della congregazione di San Giuseppe dell’Apparizione, è tornata per alcune settimane a casa, ad Arcore, in parrocchia Sant’Eustorgio, per rivedere i suoi famigliari e gli amici. Poi tornerà là, nella parte araba di Gerusalemme, all’ospedale San Giuseppe, dove accudisce uomini e donne, ragazzi e bambini che arrivano malconci dalla striscia di Gaza, colpiti gravemente dalle bombe israeliane.
La gente comune
“Ho conosciuto molte persone, ho molti casi di cui parlare, ma credo – ammonisce Valentina – che non interessi sapere di chi ha perso le gambe, di chi ha fratturato le vertebre, di chi ha perso i genitori o il fratello o lo zio e l’amico. O meglio, non basta provare solo emozioni”. E spiega: “Ciascuno di noi, io che sono là, ma anche voi che siete a casa e vivete in un mondo senza guerra, tutti dobbiamo interrogarci che cosa ci chiede Dio, cosa c’entriamo noi con Gaza, le bombe, l’Iraq e la violenza dell’Isis”.
Quasi per indirizzarci alla sua risposta – che ha maturato in due anni di permanenza a Gerusalemme e in altri soggiorni in Medio Oriente – descrive ancora ciò che ha visto. Il positivo. “Là tutte le famiglie hanno subito un lutto, ma il dolore è condiviso; si sente, si vede nella solidarietà che sono un popolo”. E ancora: “La cosa sorprendente è che da loro, dai ricoverati come dai famigliari, non ho mai sentito parole di rabbia o di vendetta”. Sta parlando di arabi musulmani, quelli di Gaza, ma anche sull’altro fronte è così: “Anche nel vicino ospedale ebraico ho visto che la gente comune non si odia”.
Ma allora la contrapposizione, la guerra, da dove arriva e come si alimenta? “L’intolleranza è politica – taglia corto Valentina -. Ho parlato con infermieri musulmani in ospedale anche dell’avanzata dell’Isis e delle tremende violenze che stanno commettendo contro cristiani e yazidi. Lapidario è stato il loro commento: ‘L’Isis non è l’Islam, sono dei pazzi’.
La violenza dell’Isis
Pazzi al servizio dei politici, o politici che usano i pazzi per i loro fini di potere. Il risultato finale è la conta dei morti, in gran parte civili. Cosa avranno nel cuore i giovani palestinesi nei confronti degli israeliani e viceversa? E noi che conosciamo della situazione tramite i media, cosa possiamo fare?
“Bisogna avere cura del proprio cuore, di quel che può nascere e avere dentro. La preghiera e le nostre relazioni devono partire da qui: che inizi a farsi strada la pace. Inutile interessarsi di Gaza se poi nelle nostre relazioni quotidiane, coi famigliari o coi colleghi di lavoro non si sceglie una strada di pace. La domanda che dobbiamo farci è questa: ‘da che parte della storia vogliamo stare?’”
Ma se chi decide sono i poteri forti, viene da dire, come si fa a cambiare la situazione? Non è illusorio sperare nelle proprie forze di piccoli uomini? “Ogni nostro piccolo atto – spiega – ha una risonanza mondiale, nel bene o nel male. Il Signore è il Signore della storia: questa va riassegnata a Dio perché la porti a compimento. Lui costruisce il suo regno così: con la piccolezza del granello di senapa che diventa una pianta. Io ho visto che le cose stanno così: non siamo capi politici, non possiamo decidere noi della pace tra israeliani e palestinesi però quando ci poniamo con umanità in corsia, in una relazione si costruisce: passano forza, speranza e fiducia”.
Il vangelo di Marco
E per meglio far intendere il suo pensiero rinvia al passo del vangelo di Marco, capitolo 14, versetti 1-11. Parla della donna che profuma il capo di Gesù con un olio prezioso, di grande valore, subendo così il rimprovero dei presenti: uno spreco inutile. “Lei ha capito che cosa lo aspettava e asseconda la decisione di Gesù, di consegnarsi ai potenti che lo vogliono fare fuori – spiega Valentina -: anche noi possiamo fare la cosa giusta stando con Gesù. Così si costruisce la storia”.
E per meglio far intendere il suo pensiero rinvia al passo del vangelo di Marco, capitolo 14, versetti 1-11. Parla della donna che profuma il capo di Gesù con un olio prezioso, di grande valore, subendo così il rimprovero dei presenti: uno spreco inutile. “Lei ha capito che cosa lo aspettava e asseconda la decisione di Gesù, di consegnarsi ai potenti che lo vogliono fare fuori – spiega Valentina -: anche noi possiamo fare la cosa giusta stando con Gesù. Così si costruisce la storia”.
Valentina affronta con questo giudizio (o preghiera) nel cuore l’attività quotidiana. Assiste i malati in corsia con altre consorelle: una libanese, una birmana, una di Ramallah (città della Cisgiordania), una di Nazareth e una irachena. Gli infermieri svolgono grande lavoro: “Dopo i bombardamenti, per fare fronte al grande afflusso di feriti hanno rinunciato alla ferie e si sono sobbarcati doppi turni: davvero encomiabili”. L’identità cristiana si esprime in due modi. La scansione della giornata con momenti di preghiera: 6.30 le lodi, alle 6.45 la messa, un ritiro mensile e una riunione comunitaria due volte al mese. “Non si tratta di semplici formalità: preghiera e meditazione servono per staccare, in senso buono, la spina, perché il fare non diventi un semplice fare, un’abitudine”. Luoghi privilegiati della sua preghiera il Calvario e il santo sepolcro (ma in orari in cui non ci sono pellegrini).
La laurea in ostetricia
Il secondo modo per incontrare il prossimo è segnato dal carisma della congregazione: san Giuseppe dell’Apparizione. “Giuseppe contemplò il mistero della Incarnazione in un modo particolare: nel nascondimento, nel silenzio, nell’umiltà – spiega Valentina -. Noi ci rifacciamo al suo stile, interveniamo sempre in base ad un appello, non per iniziativa o progetto nostro. Giusto due anni fa mi chiesero l’obbedienza per trasferirmi in Medio Oriente. Dopo sette anni di pastorale giovanile fra Firenze e Lucca ho accettato. Le suore di San Giuseppe sono presenti in Terrasanta dal 1848, su invito dei Francescani”.
Il piccolo ospedale di Gerusalemme che oggi ospita il pronto soccorso, la terapia intensiva, la medicina e la chirurgia sta per allargarsi, con la costruzione di un reparto di maternità. Per Valentina rappresenta un evento enorme dal punto di vista della sua storia personale.
“Prima di diventare suora mi sono laureata in ostetricia. Pensavo di dare il mio contributo in questo campo, invece il Signore mi ha fatto inviare a costruire un oratorio in Toscana, tra i giovani. Ebbene, dopo nove anni, potrò dare il mio contributo di ostetrica qui a Gerusalemme. Insomma, Dio è affidabile e non dimentica niente”. Anche se, non ha bisogno di dirlo, ma lo fa capire, Valentina è pronta a qualunque meta le chiederanno di raggiungere.