A tradirlo è stata la sua passione per la cucina delle Asturie, e quella leggerezza di pagare con la carta di credito personale le troppe cene nei ristoranti di Oviedo, in Spagna, dove viveva per sfuggire alla giustizia italiana. Ma la comoda latitanza di Michi Stoica, detto Puia, spietato sfruttatore di giovani donne dell’Est sui viali di Monza, è finita con l’arresto dell’uomo in Romania, dove era fuggito una volta compreso che i carabinieri lo stavano braccando.
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Una volta completate le procedure per l’estradizione, per l’uomo dovrebbero aprirsi le porte del carcere, visto che deve scontare 13 anni. Puia era il “braccio operativo” di un’organizzazione padrona del mercato della prostituzione lungo viale Lombardia, a Monza, e nella zona nord di Milano, smantellata anni fa nell’ambito dell’operazione ‘Fata’, condotta dai carabinieri della compagnia di via Volturno.
Vicenda per la quale la giustizia italiana, nel 2016, ha emesso nei suoi confronti condanna a 13 anni di reclusione. Pena che ora l’uomo, arrestato dalle autorità rumene grazie alle indagini dei carabinieri della Squadra Catturandi, dovrà scontare in Italia. Il trentanovenne, infatti, aveva cambiato aria poco prima della sentenza della Corte d’appello, che ha sancito definitivamente la sua colpevolezza in ordine a reati gravissimi, risalenti agli anni tra il 2008 e il 2010.
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L’indagine ‘Fata’, coordinata dalla procura distrettuale, aveva disegnato la mappa della prostituzione di strada da viale Zara fino al Rondò dei Pini. Erano emersi il predominio in zona di due famiglie rumene imparentate fra loro, i Candoi e gli Stoica, alla quale appartiene anche Puia, e il dramma di giovani donne costrette a subire sevizie di crudeltà assoluta. Sia gli sfruttatori che le vittime venivano da Giurgiu, località bagnata dal Danubio al confine con la Bulgaria, una delle città più povere della Romania.
Ragazze che dovevano ‘lavorare’ anche con le ossa rotte, altre segregate in casa per punizione, isolate dal resto del mondo, chiuse in balcone al freddo, lasciate per ore al gelo con i piedi in un secchio d’acqua gelata.
In questo scenario, Puia era considerato “l’esecutore”, quello che doveva rendere concreti gli ordini del clan. Le giovani dovevano ‘fruttare’ una certa cifra, e, pur di raggiungere il risultato, venivano soggiogate psicologicamente: “O ti metti a lavorare come si deve, o quando torni a casa trovi tuo figlio di 3 anni morto”, era una delle minacce usate dagli aguzzini.
Negli ultimi tempi, Puia aveva lasciato la Spagna lasciando tracce in mezza Europa con la carta di credito usata per affittare automobili con le quali aveva raggiunto casa sua.