Martedì 19 dicembre, alle 16 alla Casa Betania delle Beatitudini a Seveso, l’arcivescovo Mario Delpini apre il processo diocesano per la beatificazione e la canonizzazione di fratel Ettore Boschini. In apertura di programma un momento di preghiera, il saluto del monsignore e “l’ascolto della Parola di Dio” a partire da alcuni brani biblici scelti e legati in modo particolare alla carità. Infine il momento del giuramento, in cui ci sarà l’atto solenne di apertura. Significativa la scelta del luogo: nella cappella di Casa Betania riposano le spoglie di fratel Ettore e in questo continua l’impegno per i poveri cui il religioso camilliano consacrò la vita.
L’intervista a Rosaria Longoni pubblicata dal Cittadino il 4 novembre 2017
Rosaria Longoni è stata per tanto tempo la “paracadutista” di fratel Ettore. Lui la chiamava così fin da quando lei, con il figlio Francesco (che per la cronaca è il musicista e showman Francesco Facchinetti), lo aiutava 24 ore al giorno.
Rosaria è di Mariano Comense (Co), ma è stata prestata a Seveso proprio per “colpa” di fratel Ettore. Per anni braccio destro del camilliano, nel 2009, ha scritto il libro “Ho incontrato Dio in una baracca. La mia avventura fra i disperati di Fratel Ettore” (Rizzoli); in questo testo Rosaria ha raccontato il sacerdote attraverso il suo diario. Ora quel diario e altri fogli sparsi scritti dal frate, per l’apertura della causa di beatificazione, potrebbero essere letti, e Rosaria ascoltata. Lei aspetta: «Se sarà necessario mi sentiranno, quei documenti li restituirò, non sono miei, torneranno da dove sono arrivati e tutto si completerà». Fratel Ettore consegnò diario e fogli a Rosaria, anche se lei all’inizio non capiva, pensava fossero “solo” da leggere. La consegna invece era ben altro. «Con l’avvio del processo di beatificazione è finita la nostra attesa – esordisce Rosaria – un’attesa fatta della recitazione della preghiera dedicata a lui proprio per la beatificazione. Questo vescovo (l’arcivescovo Delpini, nda) ha avviato il processo forse perché ha conosciuto fratel Ettore ai tempi di Martini e ha visto quello che ha fatto. Per essere beato non serve il miracolo, ma l’azione. E fratel Ettore è stato azione». La preghiera per la beatificazione è stata creata da suor Teresa Martino, che di fratel Ettore ha raccolto il testimone, e da altri.
Rosaria, è stato fratel Ettore a insegnarle a pregare?
Lui mi è rimasto attaccato. Nel tempo ho constatato che la sua tenacia è quasi brandente, lui mi fa capire che quello che faccio spesso non è tutto merito mio perché sarebbe impossibile per me far fronte a così tante situazioni che vivo. Fratel Ettore, sì, mi ha insegnato la preghiera e la condivisione. Da lui ho capito che è importante dividere la vita con gli altri. Il senso vero dell’agire di fratel Ettore è farti capire che sei amato e che gli altri vogliono proprio te. E gli altri sono Gesù, che ti vuole e che è sorprendente nel piccolissimo non nel grande. Io ho sempre pregato, ma diligentemente, adesso la preghiera non è più solo mia, ma comunitaria. Nella preghiera fratel Ettore mi ha insegnato anche a ringraziare.
Ringraziare?
Sì, lui è tornato sempre a ringraziare Gesù di quello che gli capitava ogni giorno. Dal suo diario ho scoperto che già da giovane lui era ricco di esperienza intima con Gesù, ma poi è stata la vita che gli ha fatto capire l’importanza del ringraziare. Spesso ci dimentichiamo di ringraziare per quello che abbiamo, viviamo e facciamo. La pastorale dei Camillani dice che un povero e un malato sono la stessa cosa e che prima bisogna curare ferite, medicare e dare da mangiare e poi dire un’Ave Maria. Fratel Ettore ha conservato intatto l’ardore del soldato, quale era San Camillo, e del contadino, è riuscito a far capire che Gesù non cambia la tua natura, ma ti rispetta così come sei.
Come faceva frate Ettore a far pregare anche chi non era credente o era di fede diversa dalla sua?
Non è mai stato un problema. Lui aveva perfino fatto scrivere le nostre preghiere in arabo sui muri del deposito dove accoglieva i poveri, in modo che anche i musulmani le potessero leggere. Non gli importava il tipo di fede professata, lui prima curava, puliva e nutriva e poi invitava a pregare.
E a chi non credeva cosa diceva?
Ah, se ne “fregava”, quando si doveva pregare si pregava, chi non pregava stava lì e ascoltava.Fratel Ettore diceva che le preghiere erano fondamentali, la nostra medicina e per noi che lavoravamo 24 ore con lui, erano anche riposo, relax. Stai lì, preghi e ti rilassi. Pregare non era una forzatura se non sei un militante della fede, lo è per chi milita: lui non era un militante. Noi purtroppo oggi preferiamo i militanti, piuttosto dei fratelli e delle sorelle, preferiamo chi vuol fare carriera, ma i militanti non servono, serve la cura e la condivisione. Noi facciamo confusione su tutto e non sappiamo nemmeno godere quando facciamo una cosa buona che è servita a me e agli altri. E, di conseguenza, non sappiamo nemmeno tornare a ringraziare per quello che riceviamo. Noi siamo tiepidi e la diplomazia ci ha bucato il cervello, siamo corrotti e per questo dobbiamo pregare.
Le sarà capitato e le capiterà anche oggi di incontrare chi non crede e le contesta o contestava la preghiera. In quel caso cosa fa?
Certo che capita. Fratel Ettore mi ha insegnato che, in questi casi, prima si dice una preghiera per se stessi, per proteggersi, e poi si sta in silenzio e si prega per chi si ha di fronte. Lui sentiva la necessità dell’azione, della preghiera e dell’Unione. Aiutando i poveri e i malati, ti invitava a vivere il Vangelo e Gesù, ma non nella tua cameretta: fuori! Il comandamento più bello per lui, e deve esserlo anche per noi, era “ama il prossimo tuo come te stesso” e anche “non avrai altro Dio”. La scintilla che si accendeva in fratel Ettore era una azione consequenziale tra padre, figlio e spirito santo. Le tre figure della Trinità non erano divise. Il padre ti ama attraverso l’azione del figlio che va in croce, in un abbraccio che lascia a noi e che agisce con la forza dello spirito santo. Fratel Ettore già da giovane, quando lavorava in ospedale a Verona non riusciva a dormire più di due ore; curava i bambini cerebrolesi e passava la notte a cambiare loro posizione per cercare di dare loro sollievo. Oggi abbiamo perso il senso della parola sollievo. Non capiamo che non è quello che fai che conta, ma che è il fatto stesso di farlo che dà sollievo a chi riceve. Oggi pensiamo di non aver più tempo per dare sollievo agli altri, invece abbiamo un tempo che ha più di 24 ore.
Gli insegnamenti di fratel Ettore valgono ancora oggi che la situazione di povertà è più pesante di come l’ha lasciata lui?
Certo, quelli di fratel Ettore sono insegnamenti che si imparano alla sua scuola di fede viva e costante. Come la messa, la confessione e l’offertorio. Lui se era in un posto e sapeva che c’era una messa entrava nella chiesa dove la si stava celebrando, se c’era un confessore entrava e si confessava. Oggi anche per me è così. La confessione non è “non ho fatto e non ho detto”, ma dire a Gesù ti dono la mia gioia di stare con chi amo. Pensiamo anche alla consegna dei doni a messa, a volte devi solo donare a Gesù le tue sofferenze o, quando stai godendo di una gioia immensa, cambiarla, pregando, con la sofferenza di qualcun altro, anche se non lo conosci.
Come è riuscito fratel Ettore a farle capire tutto questo?
Con l’azione, andando dove c’era bisogno, sempre. C’erano i sieropisitivi? Lui era con loro, era ovunque ci fosse bisogno. Oggi lui certamente sarebbe al molo ad aspettare i barconi dei migranti, con la sua tendopoli per dare subito soccorso. Fratel Ettore oggi sarebbe anche con gli anziani, quanti pensionati faticano a vivere? Sarebbe con i bambini. Oggi la politica si è molto allontanata dalla fede, ha perso la capacità di rispondere ai bisogni delle persone. I politici, magari cristiani, non riescono a trasformare la loro fede in azione, non riescono ad usare lo stesso metro che il Signore usa con loro. Tutti abbiamo sperimentato una volta il perdono su di noi, pensavamo di essere delle bestie e invece è arrivata una carezza inaspettata che ci ha placato, ecco, oggi sembra che i politici non abbiano mai sperimentato carezze e misericordia.Fratel Ettore era perfettamente politico perché la sua azione era circostanziata dai fatti. Ciò che a me ha fatto fare il salto del cambiamento è stata proprio la sua azione, la sua concretezza. Una volta si ruppe la fognatura, chiamammo gli operai, ma intanto che li aspettavamo cercammo di sgorgare i tubi della fogna: lo abbiamo fatto, io e lui. Il suo agire mi ha permesso di aderire alla manifestazione della fede. Non so come, ma oggi, per quello che mi è dato, io manifesto la mia fede.
Lei ha detto che fratel Ettore oggisarebbe molto vicino anche ai bambini, com’era con i giovani?
Li trattava da persone vere. L’ha fatto anche con mio figlio Francesco. Io avevo la mia camera, ricavata in un angolo con un bagno piccolissimo, e ci avevo messo un letto per farci dormire Francesco. Ricordo benissimo che un giorno, quando Francesco aveva 13/14 anni, mi ha detto “Francesco non è più il tuo bambino” e se l’è portato nella sua camera, ha messo per terra un pagliericcio e, da quel momento, lo ha fatto dormire là, da adulto, fuori dalla mia camera, e si è fatto aiutare da lui.
E Francesco come ha reagito?
Francesco l’ha seguito, è andato e l’ha aiutato. Per me, da mamma, non è stato facile accettarlo, ma è stato giusto così. Fratel Ettore era in grado di far sentire le persone riconosciute.
Con l’azione fratel Ettore sosteneva le sue opere senza soldi, giusto?
Sì, le persone capivano l’importanza delle sue azioni, lo capì anche Phil Collins che gli donò il caché di un suo concerto.
(*intervista a cura di Carla Colmegna)