«Sono vittima di un accanimento ingiustificato e senza senso. Adesso spero che almeno mia figlia Caterina venga lasciata in pace». Santo Sculli ha commentato così la riapertura della pizzeria Country, l’esercizio di via Colzani chiuso da sabato 28 ottobre, sulla scorta di un’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Monza e Brianza e recepita dal Comune di Seregno, a seguito dell’arresto di suo figlio Massimo Salvatore nell’ambito dell’inchiesta “Dedalo”, condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e di detenzione abusiva di armi e munizioni.
«L’attività adesso è intestata a Caterina – ha continuato Sculli – ed io non ho più alcun ruolo al suo interno. Ci siamo decisi a questo passo perché non era più possibile aspettare oltre e far aspettare le persone che lavoravano qui. Quando l’udienza per la discussione della mia richiesta di sospensiva del provvedimento di chiusura davanti al Tar della Regione Lombardia è stata rinviata dal 13 dicembre al 10 gennaio, ci siamo sentiti presi in giro…».
La vicenda appare simile a quella del bar La Torrefazione di corso del popolo, chiuso sempre su input della Prefettura di Monza e Brianza per la possibilità di infiltrazioni mafiose nel febbraio dello scorso anno, a causa della presenza nella compagine sociale di Maria Marano, moglie di Pino Pensabene, in carcere in quanto ritenuto il nuovo referente della ’ndrangheta nella zona dopo l’operazione “Infinito” del 2010, riaperto dalla stessa Marano, con una ditta individuale, quattro mesi più tardi e quindi chiuso definitivamente all’inizio di quest’anno.
La chiosa si è concentrata sull’ordinanza comunale, con cui in contemporanea all’interdittiva antimafia della Prefettura di Monza e Brianza a Sculli è stata imposta la demolizione della parte coperta esterna, che ospita i tavoli per la clientela, considerata abusiva: «Per 15 anni il Comune di Seregno ha incassato i soldi che ho regolarmente pagato per l’occupazione del suolo pubblico ed infine mi ha detto che avrei dovuto demolire. Anche per questo abbiamo fatto ricorso al Tar della Regione Lombardia».