Seregno, i coniugi Attanasio ospiti della festa per i 25 anni della scuola di italiano per stranieri

Il padre dell'ambasciatore ucciso in Congo ha ricostruito la triste vicenda, riservandosi anche una critica nei confronti dello Stato italiano, accusato di agire come Ponzio Pilato
I coniugi Attanasio con Laura Borgonovo, coordinatrice della scuola di italiano per stranieri

La festa per i 25 anni di attività della scuola di italiano per stranieri “Culture senza frontiere” di Seregno, che sabato 24 febbraio ha portato circa duecento persone a partecipare alla cena dell’amicizia, ospitata dal salone dell’oratorio della Beata Vergine Addolorata al Lazzaretto, ha registrato il suo momento forse più emozionante grazie alla presenza dei coniugi Alida e Salvatore Attanasio, genitori di Luca, l’ambasciatore in Congo barbaramente assassinato nel febbraio di 3 anni fa, in circostanze sulle quali ancora non è stata fatta piena luce. Di fronte ad un pubblico attento e partecipe, Salvatore Attanasio ha quindi cercato di ricostruire la vicenda: «Luca fu nominato ambasciatore quando aveva 40 anni, anche se normalmente questi incarichi si ricevono quando si ha tra i 50 ed i 55 anni. Perché fu mandato in Congo, anche se non aveva l’anzianità per il ruolo? L’ambasciata a quel tempo era chiusa da nove mesi, poiché l’ambasciatore precedente era stato richiamato, e la commissione valutatrice si decise a questo passo, vedendo dal suo fascicolo che Luca era solito andare, risolvere i problemi e poi chiamare ed avvertire che li aveva risolti. Il Congo ha un territorio che è circa otto volte quello dell’Italia. Lui cercò di incontrare tutte le comunità, per capire cosa servisse loro».

Attanasio: il duro affondo di papà Salvatore contro lo Stato

Il padre dell'ambasciatore ucciso in Congo ha ricostruito la triste vicenda, riservandosi anche una critica nei confronti dello Stato italiano, accusato di agire come Ponzio Pilato
Salvatore Attanasio, a destra, a colloquio con monsignor Bruno Molinari, prevosto di Seregno

L’approfondimento è quindi proseguito: «Quel giorno, il convoglio delle Nazioni unite su cui viaggiava fu preso d’assalto da un commando con i kalashnikov. Le persone presenti furono condotte in un bosco e lì Luca ed un carabiniere che era con lui furono uccisi. Si parlò di un tentativo di rapimento a scopo di estorsione, ma se l’intenzione fosse stata questa, perché i rapitori avrebbero dovuto uccidere i rapiti, i loro bancomat? Il convoglio avrebbe dovuto essere blindato, con una scorta armata in testa ed in coda, ma la presenza dell’ambasciatore fu omessa e la scorta non fu predisposta: perché questo comportamento?». L’amarezza si è in seguito impadronita della scena: «Cerchiamo di fare giustizia, per capire moventi e mandanti. Alla ricostruzione ufficiale non crede ormai nessuno. Lo Stato italiano, di cui Luca era un servitore fedele, sta facendo come Ponzio Pilato. Eppure, è parte lesa, come lo siamo noi come famiglia. Perché non lo ha tutelato? Perché non ci rappresenta? A queste domande stiamo aspettando risposte». La chiosa è stata (comprensibilmente) molto dura: «L’omicidio di un ambasciatore è un attacco allo Stato, che non reagisce perché è sotto ricatto e teme ritorsioni. Ma uno Stato con la schiena dritta non può essere ricattabile. Noi siamo uno Stato vassallo delle grandi potenze, ma io non ci sto. Farò di tutto perché la porcheria venga a galla».