Roberto Formigoni si racconta: la fede, Cl, la politica

Roberto Formigoni, il “celeste”. L’ex presidente di Regione Lombardia a tutto campo nell’intervista del direttore Cristiano Puglisi: dagli inizi in Gioventù Studentesca ai vertici del Pirellone. E sulla sanità: «Con il mio sistema tutelata la medicina di base. Oggi invece...»
Roberto Formigoni
Roberto Formigoni

Si intitola “Una storia popolare” il libro autobiografico dell’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Formigoni. Edito da Cantagalli, 25 euro, il volume è , nei fatti, un’intervista lunga oltre 500 pagine (ma godibilissima e ricca di aneddoti) che “il Celeste” ha rilasciato a Rodolfo Casadei. E proprio quest’opera di recente pubblicazione è stata l’occasione per un confronto con l’ex numero 1 del Pirellone, che ci ha accolti nella casa milanese dove sta finendo di scontare la pena per la condanna relativa al cosiddetto “caso Maugeri”. Il libro, lungi dall’essere un’auto-apologia correlata a quest’ultimo episodio, è piuttosto un approfondito excursus sulla vicenda politica e umana di Formigoni, fin dalla gioventù.

Chi era il giovane Roberto Formigoni?
«Nasco a Lecco (nel 1947, nda) in una famiglia nella quale ricevo un’educazione cattolica tradizionale, come avviene per gran parte dei miei coetanei nati alla fine degli anni Quaranta. Si tratta di una forma di cristianesimo che veniva presentato come una serie di riti e di norme morali che quando entri nell’adolescenza non bastano più e probabilmente anche io, come molti coetanei, l’avrei abbandonato se non fosse avvenuto l’incontro con Gioventù Studentesca (il movimento da cui sarebbe nata Comunione e Liberazione) prima e con don Giussani poi. In realtà don Giussani lo avrei incontrato solo negli anni dell’università, il mio primo riferimento fu Angelo Scola, allora presidente della Gs di Lecco e che poi sarebbe divenuto patriarca di Venezia. Questo incontro determinò una svolta nella mia vita, perché Gs e Cl hanno saputo presentare l’irruzione di un fatto, l’avvenimento di Cristo, come destinato a generare la liberazione dell’uomo, cioè la liberazione di tutte le sue speranze, desideri e ansia di felicità. Ho capito che la parola desiderio non era in contrasto con il cristianesimo, ma anzi la realizzazione di sé stessi, anche attraverso una via fatta di difficoltà, era compatibile con il cristianesimo. Don Giussani non ha mai imposto nulla, la sua era una proposta, che è poi risultata sperimentabile: il suo era un cristianesimo spalancato al mondo, alla curiosità innata che avevo anche dentro di me. Tanto è vero che, per questa curiosità, quest’ansia di totalità che provavo, decisi anche di cambiare facoltà e lasciare Ingegneria per iscrivermi a Filosofia all’Università Cattolica di Milano».

Arrivarono poi gli anni della contestazione…
«Il movimento mi permetteva di affacciarmi al mondo in maniera impensabile e andando avanti sono poi diventato responsabile di Gs a Lecco e poi, trasportatomi a Milano, entrai nella redazione culturale proprio per fornire in quegli anni turbolenti uno strumento ai nostri ragazzi. Ho così capito che la politica poteva essere un mezzo per difendere quello che la comunità cristiana aveva costruito e per opporsi alle teorie che dominavano allora, cioè quelle del ’68, nato come condivisibile tensione di svecchiamento ma che fu ben presto dominato dai movimenti marxisti-leninisti. Nelle scuole e nelle università non c’erano i partiti, c’erano loro e c’eravamo noi. Questi movimenti litigavano su tutto tranne che su un obiettivo: quello di negare a noi l’agibilità politica. Noi difendevamo il nostro diritto di esporre le nostre tesi dentro le università».

Fu fondato così, nel 1975, il Movimento Popolare, che intendeva tradurre in un impegno più marcatamente politico l’esperienza culturale di Cl.

«La Stampa di Torino aveva pubblicato la notizia falsa che la Cia avrebbe finanziato Cl non so con quanti milioni di dollari. Questo diede ai militanti di estrema sinistra il pretesto di dare l’assalto alle nostre sedi, incendiandone 119. Lì ho capito che occorreva un’azione politica più forte per difendere non solo la comunità ciellina, ma il cristianesimo stesso, che era sotto evidente attacco. Così, insieme ad alcuni amici, ho fondato il Movimento Popolare e, a un certo punto, abbiamo deciso anche di candidarci, venendo eletti tra le fila della Dc. Nel mio caso venni eletto prima al Parlamento europeo (1984), poi alla Camera (1987)».

All’interno delle istituzioni, l’operato di Formigoni si fa notare anche per posizioni controcorrente, non solo in materia di fede. L’esempio è quello dell’opposizione alla prima guerra del Golfo, nel 1990.
«Ho capito in alcune occasioni, cito il caso Englaro o appunto quello della guerra del Golfo, durante la quale tenni una posizione nel solco dell’impegno per la pace di Giovanni Paolo II, che davo fastidio, che la mia posizione rispetto al mainstream sarebbe stata notata e annotata e che prima o poi me l’avrebbero fatta pagare. Non ero dalla parte dei vincitori della storia, quelli che volevano trasformare la società italiana ed europea in un certo modo, che percepivano come non fossi “arruolabile” tra le loro fila».

Caduta la Prima Repubblica, arrivano l’elezione a presidente di Regione Lombardia (1995) e, poi, l’ingresso in Forza Italia. Formigoni resta presidente fino al 2013, 18 anni che hanno cambiato il volto della regione più importante del Paese. Oggi si fa spesso riferimento in negativo a quel periodo, probabilmente anche a sproposito…
«Siamo entrati in FI quando questa aderì al Partito Popolare Europeo, perché popolari eravamo e popolari volevamo rimanere. Milioni di cittadini di una tra le regioni più avanzate d’Europa, che certamente non hanno l’anello al naso, hanno votato Formigoni a larga maggioranza per quattro legislature di fila, perché credevano nel nostro programma, che poi abbiamo realizzato. Quando si dice che Formigoni avrebbe regalato la sanità lombarda ai privati si dice una grande falsità: Formigoni, con la riforma del 1997, così come abbiamo fatto con il buono scuola, consentendo la libertà di scelta educativa a famiglie che non potevano permettersela, ha fatto sì che, al contrario, anche chi non aveva disponibilità potesse curarsi gratuitamente in alcuni istituti privati di eccellenza che avevamo selezionato. Ho, piuttosto, un parere fortemente negativo sulla riforma successiva, quella di Maroni, che per operare discontinuità ha finito per penalizzare la medicina territoriale. Eppure sono proprio i medici di base le “sentinelle” della salute pubblica. Un esempio? Un amico medico mi ha informato che già a ottobre 2019 si verificavano strani polmoniti: ecco, forse mettendo a rete questi medici avremmo potuto prevenire la catastrofe che poi si è verificata. Altre critiche che mi investirono a sproposito furono quelle su Palazzo Lombardia: completato a tempo record, quell’edificio ha poi aperto la via alla riqualificazione di tutta un’area di Milano, da Porta Nuova all’Isola, consentendo alla Regione di risparmiare parecchio sugli affitti degli uffici dei vari assessorati…».

Dopo la condanna per il caso Maugeri (definita dall’avvocato Franco Coppi, uno tra i più grandi penalisti italiani, una condanna “senza una colpa e senza una prova”) sono arrivati il carcere, i domiciliari, il sequestro dei beni e, addirittura, per un certo periodo quello della pensione da senatore: 2mila e 200 euro al mese frutto delle trattenute sugli emolumenti.
«Sono andato avanti grazie all’aiuto di tanti amici che mi hanno dato una mano, mettendomi a disposizione anche questo appartamento. Progetti per il futuro? Molti. La politica non la farò più in prima persona, ma certamente aiuterò molti giovani e meno che continuano a chiedermi consigli».