Riti e usanze dei monzesi nelle giornate dei morti. E un cimitero dimenticato

Il giornalista Giancarlo Nava torna a curiosare negli archivi cittadini (e del Cittadino di Monza) per recuperare pezzi di storia della città. A partire dalle giornate dei morti: ecco cos’ha trovato per i lettori di Monza e della Brianza.
Un’immagine del cimitero di San Gregorio a Monza
Un’immagine del cimitero di San Gregorio a Monza Redazione online

Il giornalista Giancarlo Nava torna a curiosare negli archivi cittadini (e del Cittadino di Monza) per recuperare pezzi di storia della città. A partire dalle giornate dei morti: ecco cos’ha trovato per i lettori di Monza e della Brianza.

“Da un articolo del Cittadino del 1928, a proposito del cimitero (scomparso) di San Gregorio.

L’ampio viale alberato, rettilineamente tracciato con criteri moderni nel vasto piano dai larghi orizzonti del nuovo cimitero di via Foscolo, non può dare un’idea di quello che anni or sono conduceva al vecchio cimitero, sorpassando col suo ponte in ferro la ferrovia.

Era in città e insieme si poteva dire fuori: quasi in fondo a corso Milano, un po’ prima del Molinetto piegava solitario a sinistra, e dopo il ponte discendeva pulito coi piccoli alberi di verde melanconico al cospetto della vasta distesa del cimitero contornato dai suoi portici e disseminato di croci e monumenti, che spiccavano tra il verde e i fiori.

Nell’Ottava dei Morti, al mattino per tempo (e chi vi si porta ancora?) umido e nebbioso, quasi di lagrime, o trasparente di un’aria autunnale ancora mite, la vista dall’alto era devotamente fantastica : fiammelle rosse, bianche, azzurre, verdi, sembravano parlare coi loro scintillii: erano l’omaggio dei vivi e parevano sentimenti reconditi che venivano da terra, dai poveri morti. Ai margini della larga scalinata il lamento pietoso di una turba di accattoni invocavano dolorosamente l’elemosina, quale atto di propiziazione per i poveri morti e il viale, dividendosi in due branche a semicerchio, scendeva con la carrozzabile.

La prima visita d’obbligo era per la cappella in fondo nel mezzo dei portici. Con ritmo uguale ed energico un fervoroso vecchio devoto, sagrestano od altro, faceva saltellare le piccole monete di rame, richiamando l’attenzione di coloro che venivano a pregare o a far del bene.

II luogo sussisterà ancora per poco tempo e porta il nome di cimitero (parola eminentemente cristiana, cioè luogo di pace nel sonno) di San Gregorio.

Il nome del santo è una sacra eredità del più antico cimitero che ancora oggi si vede a un fianco del Duomo, coi suoi portici bassi e col suo cortile in pietra, dove, ricoperta da un grosso blocco, sta l’apertura del gran sotterraneo che accoglieva le salme.

Onoranze funebri antiche….

L’antico Cimitero del Duomo richiama i famosi versi coi quali il Foscolo condannava l’usanza di seppellire i morti tra i vivi, turbando le chiese con lugubri immagini di teschi ed ossa. L’usanza è dovuta alle invasioni dei barbari.

I giardini e i fiori intorno alle tombe non sono d’importazione straniera, ma era una consuetudine ecclesiastica antica.

I Latini soprattutto volevano continuare coi morti la consuetudine della domestica vita: i sepolcri non erano quindi luoghi di sinistri auguri: li volevano nelle proprie ville, vicine alla città, lungo i margini delle grandi vie consolari. Le ceneri degli avi nelle olle funerarie o nei sarcofaghi erano continuamente onorate dalla pietà dei nipoti che le circondavano di rose e di viole, celebrando sacrifici, dopo i quali si univano in qualche modo coi trapassati, consumando sulle tombe in loro memoria gli alimenti del banchetto funebre.

I cristiani antichi nel loro fervore religioso volevano perfino l’Eucaristia sul petto del defunto; ma la Chiesa frenò la poco illuminata aspirazione.

A Monza nel di dei morti si conservavano, e si conserveranno ancora alcune usanze: la tradizionale visita al cimitero, l’assistenza alla S. Messa, il succulento piatto di tempia di maiale con contorno o la zuppa di ceci, e alla sera le castagne cotte in acqua, profumate da erba aromatica (erba buna) e i così detti bulgiot o rape cotte. I trasgressori di certe particolarità erano minacciati dalla visita notturna dei morti che avrebbero loro tirato i piedi. La lontana eco degli antichi banchetti in onore dei morti si riflette certamente in questi usi. Le erbe profumate non richiamano forse gli aromi che si versavano sulle tombe?

Quando le usanze antiche degenerarono, Sant’Ambrogio si oppose ad esse. La pia Santa Monica, venuta a Milano col figlio Agostino stentò a rassegnarsi al divieto del santo vescovo. Era troppo abituata a portarsi col suo cestello di offerte, cibarie e frutta, sulle tombe per il festino di rito in loro onore. E rimpiangeva la sua bell’Africa, nella quale fiorivano ancora le usanze. I frutti oggi d’uso non hanno necessaria relazione con quei riti. Sono frutti di stagione. Le foglie sono ingiallite e umide cadono; non pendono più dalle viti, bei grappoli rossi o d’oro e sui verdi delle frondi non si vedono più i frutti gialli e rosei. Sotto il sol intiepidito la distesa del campo offre solo magre erbe; fanno pompa di sè le foglie di rapa e sui declivi battuti dal vento, i castagneti portano il riccio del loro frutto. I contadini hanno finito l’ingrasso dei maiali coi residui dei grani avariati e godono il risultato delle loro cure, e macellando ne fan parte ai cittadini. Una parte delle carni è preziosa e vien riposta, un’altra consumata subito, come la testa cioè la tempia.

L’occasione viene opportuna a festeggiare il giorno sacro dei morti. Pietas ad omnia utilis est, la pietà è utile a tutto e il sentimento cristiani ha santificato anche gli onesti sollievi, non disgiungendoli, ma legandoli negli alti ideali che devono sempre ispirare l’uomo, che vive in terra pel cielo”.
Giancarlo Nava