«A distanza di alcuni mesi dall’asportazione del rene, ho maturato qualche certezza. La prima è che è giusto che si continui a parlare dell’accaduto, perché ciò che si è verificato va al di là della mia persona: è capitato a me, ma quel calcio avrebbe potuto colpire chiunque. La seconda è che voglio riprendere a vivere serenamente, come prima, insieme alla mia famiglia».
Papà aggredito alla partita dei bambini: in dubbio la presenza alla serata promossa dall’amministrazione
La conversazione con il dirigente della Polisportiva San Giovanni Paolo II, rimasto ferito a metà giugno nel corso di una rissa tra genitori all’oratorio Sant’Ambrogio, a margine di una gara di calcio tra due squadre Under 9, valida per un torneo amichevole, dimostra la fondatezza del vecchio assunto, che indica il tempo come un buon medico. Un buon medico per le ferite del corpo, ma in questo caso anche, se non soprattutto, per quelle dell’anima.
«Non so se sarò presente alla serata promossa dall’amministrazione comunale – ammette l’interessato – Ci sto riflettendo e non ho ancora preso una decisione. Ma, ripeto, è bene che si continui ad approfondire questa tematica. Oggi sono sulla via della ripresa. La ferita sul mio corpo c’è e la guardo tutti i giorni, ma ho ricominciato a lavorare e questo è positivo. Non sono al cento per cento ed in alcune incombenze mi devono aiutare i colleghi, ma tutto sommato sono a buon punto. A livello mentale, invece, ripenso a ciò che è accaduto e mi chiedo perché sia accaduto proprio a me. Certo, ero lì e sono intervenuto perché si stava sviluppando una situazione surreale. Non mi spiego il motivo di tanta cattiveria. Il colpo non penso fosse finalizzato a spappolarmi un rene, sono sincero. C’è stata senza dubbio molta casualità. Il bersaglio avrei potuto non essere io oppure avrei potuto essere centrato sulle costole e le conseguenze sarebbero state così meno gravi. Il problema, di fondo, è che in quel contesto, più che in altri, un calcio era decisamente fuori luogo…».
Papà aggredito alla partita dei bambini: «Non sono stati i bambini a creare il problema»
La riflessione si allarga ad ampio raggio: «Non sono stati i bambini a creare il problema, ma i genitori. Noi genitori dobbiamo imparare che i bambini allo sport chiedono solo di divertirsi. Siamo noi adulti che dobbiamo evitare di creare pressioni, riversando su di loro aspettative che magari avevamo noi alla loro età e non abbiamo visto soddisfatte. Questo vale per l’ambito sportivo, ma più in generale anche per lo studio e la vita di tutti i giorni».
La chiosa si concentra proprio su due bambini, loro malgrado vittime, pur se in modalità differenti, di quel brutto pomeriggio: «Mio figlio non ha assistito alla scena dell’aggressione e non era con me quando è arrivata l’ambulanza. Ma vive con me ed ha capito la gravità di quanto ho subito. Anche lui deve metabolizzare il tutto al meglio. E poi il mio pensiero va al figlio di chi mi ha dato il calcio, che per tutta la vita sarà il figlio di… Questo mi dispiace, perché il bambino non ha colpe. Spero che possa superare questa fase e proseguire a fare sport».