«La forza, potrei dire la linfa vitale, per reagire al Covid me l’hanno data le tante manifestazioni di affetto delle persone che mi vogliono bene. I messaggi, le chiamate continue, gli incoraggiamenti mi hanno dato la consapevolezza che potevo e dovevo farcela. Ho avuto paura, come è naturale che sia, ma non ho mai avuto la sensazione concreta che avrei potuto non farcela. Ero convinto che sarei sopravvissuto alla malattia. Certo è una esperienza che ti segna, inevitabilmente. Tuttora mi sveglio la notte con il rumore del casco nella testa e la sensazione dei pesi che vengono applicati sul collo per farlo aderire al corpo».
Sono di crudo realismo i toni usati da Giuseppe Caserta, 74 anni, segretario novese di Rifondazione comunista, a due settimane dalla sua uscita dal San Gerardo, dopo l’inizio della fase di recupero che sta facendo a casa. Si sta lentamente riprendendo, non ha ancora iniziato la fisioterapia ma fa movimento e ginnastica in casa. E mangia regolarmente al tavolo con i familiari, in piena normalità.
Ex dipendente della Bea di Desio in pensione, era entrato al San Gerardo a ottobre per un intervento cardiovascolare previsto da tempo. A un primo intervento ne era seguito un altro, poi le prime avvisaglie del Covid, con tracce di acqua nei polmoni. «La cosa strana – prosegue nel suo racconto lo stesso Caserta – è che in un primo momento il tampone risultava negativo. Poi con il passare dei giorni la situazione è andata peggiorando finchè non mi hanno diagnosticato il Covid. Da un certo punto di vista sono stato fortunato, perchè alcuni malati sono stati trasferiti a Bergamo e altrove. Io essendo stato operato a Monza sono rimasto qui. Però ho visto persone distese sulla pancia per settimane senza possibilità di muoversi nè di spostarsi. Ogni giorno arrivavano i medici che li visitavano. Ma ripeto: la mia forza sono stati gli affetti».