«Non è una moschea»: rigettata la diffida del comune di Cesano (che deve anche pagare)

Nell’ex sportello bancario del Villaggio Snia si prega? Non è provato. E il comune deve pure pagare. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha accolto il ricorso della Associazione culturale islamica e annulla la diffida del comune di Cesano Maderno.
Alcuni rappresentanti della Associazione culturale islamica di Cesano
Alcuni rappresentanti della Associazione culturale islamica di Cesano

Nell’ex sportello bancario si prega? Non è provato. E il comune deve pure pagare. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha accolto il ricorso della Associazione culturale islamica (LEGGI QUI) e annulla la diffida del comune di Cesano – emessa dal dirigente dell’Area servizi Territorio, Ambiente e imprese – verso l’uso dei locali dell’ex sportello bancario di via Udine, al Villaggio Snia, come luogo di culto. «Non ci sono prove che lì i musulmani preghino» dice, in sintesi, il Tar.

Una vicenda iniziata circa 9 mesi fa (la diffida del comune è data 30 settembre) fino alla sentenza pronunciata nei giorni scorsi dalla seconda sezione del Tribunale amministrativo. I residenti, preoccupati, con il sostegno di alcuni consiglieri comunali di minoranza, avevano raccolto firme per opporsi a quella che avevano definito una”moschea”.

Non sono della stessa idea i giudici del Tar che fanno riferimento ai due sopralluoghi effettuati dalla polizia locale nei locali del centro: nel primo «è stato rinvenuto uno dei referenti dell’associazione senza però che fosse in corso alcuna cerimonia» si legge nella sentenza; nel secondo «tre cittadini del Pakistan raccolti in lettura verso una parete (…) ma nel verbale gli stessi agenti ammettono che non vi è certezza che i tre cittadini pakistani stessero pregando».

Una “sensazione” non è una certezza e soprattutto non è una prova, dicono i giudici del Tar che quindi considerano l’istruttoria del comune insufficiente a dimostrare che nei locali: «sia stata svolta attività religiosa o di culto, in contrasto con la destinazione urbanistica». Il comune è stato anche condannato a pagare le spese di lite, 1.500 euro più iva e Cpa (Cassa previdenza avvocati).