Una domanda spedita nell’autunno 1984, una risposta negativa arrivata nel 2020, datata 21 maggio ma giunta a destinazione poche settimane or sono. Con l’invito eventualmente a fare ricorso al massimo in trenta giorni. Sì, perché l’Inps, dopo aver atteso 36 anni prima di inviare un risposta, ha fatto presente all’utente che si era rivolto agli uffici chiedendo il ricongiungimento di contributi previdenziali pubblici e privati, di avere solo un mese per farsi avanti con un ricorso. Non un giorno di più e non uno di meno. Così é se vi pare.
Bernardino Villa, 63 anni, il monzese che aveva osato chiede lumi sulla sua pratica é rimasto con un palmo di naso. Anche perché, nonostante fossero passati 36 anni, la risposta dell’Inps non é stata particolarmente articolata: “per le norme che caratterizzano questa cassa – si legge nella stringatissima lettera- la sua istanza non può essere accolta”. Una risposta lapidaria che non chiarisce i motivi della decisione. Villa, che recentemente é andato in pensione sfruttando l’opportunità concessa da Quota 100, ha avuto una vita lavorativa costellata di impieghi diversi, per esempio al Comune di Monza, ma anche come dipendente in aziende private.
Ai fini pensionistici ha avuto bisogno, quindi, di ricostruire il pacchetto contributivo, la sua posizione ai fini pensionistici, mettendo insieme contributi pubblici e privati. E non ha perso tempo, ha chiesto lumi anche quando, nel 1984, il 30 ottobre, la prospettiva di lasciare il lavoro era ancora di là da venire. Certo non si aspettava che avrebbe dovuto aspettare così tanto per ottenere una risposta, comunque negativa. Nel frattempo é stato sballottato da un ufficio all’altro senza che nessuno si prendesse la briga di mette un punto fermo.
Lo racconta il suo avvocato, Claudio Orlando: “Siamo stati all’Inps di Monza e ci hanno detto che dovevamo rivolgerci alla sede di Milano. Lì la prima volta hanno preso tempo promettendoci una risposta. Abbiamo chiesto appuntamento a un funzionario ma poi ci hanno risposto che dovevamo rivolgerci a Monza e quindi ci hanno rimandato ancora a Milano. Quindi é arrivata l’emergenza Covid”.
Nel frattempo é arrivata una risposta scritta anche se non era proprio quella che Villa e il suo legale si aspettavano. “Faremo un ricorso amministrativo -continua Orlando- quantomeno per avere chiarimenti, per sapere su quali basi hanno respinto la richiesta. Per esperienza so che 99 volte su 100 non rispondono e obbligano ad andare davanti a un giudice del lavoro”.
Una circostanza che viene paventata già nella lettera dell’Inps là dove si dice che se il ricorso non avrà una risposta entro 90 giorni deve considerarsi rigettato, lasciando come unica possibilità il ricordo al l’autorità giudiziaria. Villa é già in pensione, ma con una retribuzione inferiore a quella che avrebbe potuto essere se la sua domanda fosse stata accolta, se la rivalutazione fosse stata assecondata dall’Inps. Intanto, al di là della risposta negativa, deve fare i conti con una burocrazia che si permette di far attendere 36 anni, senza neanche spiegare su cosa poggia il respingimento della domanda. “Siamo stati rimbalzati tra Monza e Milano almeno dieci volte -spiega Villa- il problema con l’Inps é che ogni volta che ti presente incontri una persona diversa e devo rispiegare tutto. La risposta é sempre quella: tra quindici giorni massimo le faremo sapere. Ma nessuno si fa sentire. Non rispondono neanche alle pec”.
Una situazione complessa quella di Villa che punta a farsi riconoscere un anno di contributi relativo a quando lavorava in Comune e soprattutto ad avere una pensione come dipendente.
“Ho lavorato per 40 anni come dipendente e uno come artigiano, mi hanno riconosciuto una pensione come artigiano”. Un problema non da poco perché questo significa un importo inferiore che viene percepito a fine mese.
Dall’Inps ha anche ricevuto un’altra comunicazione, dove gli si riconosce una indennità una tantum di quasi 8mila euro che però non potrà essergli corrisposta perché l’importo é inferiore a quello che é stato trasferito all’Inps con i contributi. Una beffa nella beffa. Ha torto anche quando ha, in un certo senso, ragione Intanto il calvario continua così come continuano i tentativi di far breccia nel muro di gomma dell’Inps per uscire dalla spirale dei rinvii senza fine.