Tieni la schiena dritta. Siediti composto. Mi raccomando: lo schermo del pc alla corretta distanza. Ogni tanto alzati e fai due passi, sgranchisciti le gambe. Non sollevare così quei pesi, altrimenti ti blocchi. Ce lo sentiamo dire, sappiamo di doverlo fare – ma, alla fine, vince la pigrizia.
E le conseguenze sono prevedibili, tanto che “dopo gli anni di pandemia e, quindi, di restrizioni in casa, sono aumentate di parecchio le visite di posturologia, rese necessarie da un incremento di problemi muscolari”. Lo spiega il professore Giovanni Zatti, direttore della Clinica ortopedica e della Scuola di specializzazione di ortopedia e traumatologia della Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza: “Le richieste sono arrivate, e continuano ad arrivare, per lo più da persone che hanno trascorso lunghi periodi in smart working, utilizzando postazioni di lavoro non idonee, improvvisate spesso con sedie e tavoli da cucina e quindi non propriamente adatte a un impiego in ambito lavorativo”.
Gli effetti dello smart working: “A causa della stessa posizione per molte ore di fila”
Il principale elemento di criticità, aggiunge Roberto Centemeri, dottore responsabile dell’ambulatorio di Posturologia della medicina del lavoro della Fondazione monzese di via Pergolesi, è però “lo stile di vita”, che “espone il soggetto ad attività che obbligano il corpo ad assumere e a mantenere una data posizione per diverse ore consecutive o a compiere un movimento in modo ripetitivo e protratto nel tempo”: proprio per questo motivo, ricordano i due, “la legge prevede delle pause durante l’orario lavorativo proprio con lo scopo di interrompere l’affaticamento muscolare e di impedire il sovraffaticamento, con la comparsa di dolore o di blocco muscolare, e di prevenire il sovraccarico biomeccanico, ovvero quella condizione che porta a un danno strutturale come l’ernia del disco”.
Gli effetti dello smart working: le linee guida per la diagnosi di disfunzione posturale
Nel 2017 il ministero della Salute ha divulgato le linee guida per la diagnosi di disfunzione posturale, “diagnosi – precisa Centemeri – che deve essere eseguita da un medico sulla base di sintomi muscolo-scheletrici come la cervicalgia, la brachialgia, la lombalgia, la sciatalgia, la coxalgia o la gonalgia, e che prevede la realizzazione di esami strumentali tanto di tipo radiologico, quanto di tipo strumentale“, come il test stabilometrico e l’elettromiografia.
Per evitare di arrivare a tanto, è allora importante lavorare sulla prevenzione di questi possibili disturbi muscolo-scheletrici: intanto, spiegano Zatti e Centemeri, “bisogna analizzare le attività della nostra quotidianità, per verificare se obblighiamo il nostro corpo ad assumere e a mantenere a lungo una particolare posizione, oppure se ripetiamo costantemente un determinato movimento: in questi casi dobbiamo prevedere delle interruzioni ricorrenti e dei momenti di intervallo durante i quali modificare la postura. Uno stile di vita attivo può, anche in questi casi, fare davvero la differenza”.