Parliamoci chiaro: «Non c’è più niente da fare». Prego? «Indietro non si torna». E di conseguenza «non resta che adattarsi» e «cercare di conviverci». Parla chiaro Luca Mercalli: tra catastrofismo e una sana dose di semplice realismo lui una risposta l’ha in mente. Torinese, poco meno di cinquant’anni, un volto abituale per chi guarda la televisione ma soprattutto un meteorologo. Il suo ultimo libro risale al 2011 e ha un titolo inequivocabile: “Prepariamoci”. Il disastro ha un problema latente: il cambiamento climatico che porta più piogge. Ma non sarebbe poi tanto un problema se non avesse una madre e tanti padri tutt’altro che ignoti: la cementificazione e troppe persone.Noi. Dall’inizio.
Il Lambro è uscito due volte in una manciata di giorni. Straordinario?
Non mi sembra. Crisi di questo genere sono già capitate. Non siamo affatto in presenza di una situazione al di fuori del normale. Il problema semmai è che prima non portava queste conseguenze. In mezzo c’è il fatto che è stato tutto cementificato. E oggi soluzioni non ce ne sono più. E oggi soluzioni non ce ne sono più. La situazione può soltanto peggiorare.
Peggio di così?
In futuro i cambiamenti climatici possono portare un peggioramento della situazione per la quantità di piogge. Quelli che stiamo osservando ora sono soltanto timidi segnali di un cambiamento che richiederà anni.
Ma va già male.
Va male e in futuro potrebbe peggiorare. Ma il problema è che già ora siamo incredibilmente vulnerabili. Figuriamoci fra trent’anni. La situazione non è reversibile.
Davvero non si può far nulla?
Con interventi di natura idraulica si può scegliere dove intervenire, in questo o in quel punto, si possono individuare dei rimedi localizzati. Se c’è un ospedale o una biblioteca, si può fare in modo che il problema sia un po’ più in là: ma il problema resta. Se c’è un ospedale o una biblioteca, si può fare in modo che il problema sia un po’ più in là: ma il problema resta. Detto chiaramente: da qualche parte l’acqua deve uscire. Quindi posso salvare questo singolo luogo, ne fa le spese quello immediatamente successivo.
Be’, insomma, nulla.
Si tratta di scegliere cosa salvare. Ma non si può tornare indietro. Perché non c’è più lo spazio fisico per intervenire.
Ma qualcosa si potrà pur fare.
Informare. E addestrare la protezione civile. Bisogna spiegare ai cittadini come convivere con gli allagamenti. Come comportarsi. Per evitare il disastro occorreva intervenire cent’anni fa. Perché dove passa quell’acqua, allora, c’erano i campi per esondare.
Chi ha sbagliato?
Gli amministratori pubblici, dallo Stato in giù, fino ai Comuni. Non sono stati capaci di mettere un freno all’edificazione. Ma allo stesso modo hanno sbagliato migliaia di privati a fare pressioni per il proprio interesse personale. Ma allo stesso modo hanno sbagliato migliaia di privati a fare pressioni per il proprio interesse personale. Perché erano loro, i privati, a chiedere di trasformare terreni agricoli in aree edificabili. E tutto è iniziato nell’epoca in cui sembrava che il territorio fosse infinito.
Finisce che il colpevole non c’è.
C’è, ma non è un solo cattivo. Lo Stato non ha fatto il suo lavoro, impedire che accadesse. Ma ha trovato tanti mandanti. La verità è che quello che stiamo leggendo in questi giorni sono le cose che si leggevano dopo Firenze nel 1966. Identiche. E lo stesso vale per l’alluvione di Genova del 1970. Il giorno dopo sono state scritte le stesse identiche frasi di questi settimane. Con la differenza che allora si poteva fermare. Oggi no.
Demolire?
Certo, peccato che sia impossibile. Togli un ecomostro ma dovresti demolire anche quello che non vedi, fondamenta, plinti, cantine. Altrimenti la permeabilità del terreno non torna. Chi paga? Chi ha lo spazio in cui portare tutto quello che verrebbe demolito? La partita è persa. Non resta che l’adattamento. La partita è persa. Non resta che l’adattamento. E intanto non costruire più. Poi un’enorme investimento nella manutenzione. Che certo, non risolve nulla, ma cerca di risollevare un quadro ormai del tutto compromesso.