Il titolo di prima pagina del primo aprile 1971, sul Cittadino, aveva tutto il diritto di passare per un cubitale “pescione” ben calcolato (“Nuova soluzione alla Villa Reale per accogliere il Parlamento regionale”). Se non fosse che una sbriciolata di mesi dopo, monzesi e lettori, avrebbero dovuto fare i conti con un altro titolo, molto più asseverativo, e molto meno che ipotetico: “Scelta la Villa Reale a sede della Regione lombarda”.
Settembre 1971: non era più un’idea, ma un voto espresso dai consiglieri della neonata Regione Lombardia per dare una sede al suo governo. E come ricostruisce il Cittadino, dopo tante ipotesi, era stata scelta la Reggia di Monza in modo ufficiale dopo anni di idee, mesi di confronto, scontro, dialogo e ispezioni che aveva decretato il capolavoro di Piermarini come sede ideale del “parlamento lombardo”.
D’altra parte la Regione Lombardia (come tutte le altre), dopo essere stata prevista dalla Costituzione era stata resa un ente territoriale con una legge del 1970 resa operativa da un regolamento attuativo di due anni dopo. Lì in mezzo c’è la zona d’ombra in cui la Lombardia, peregrinando, ha cercato una casa. Che nel 1971 è stata scelta: la Villa Reale di Monza, baricentro territoriale delle tante province, facile da raggiungere da tutti, opportunità – si diceva allora, anche da Italia Nostra – per “nobilitare”, in forma del tutto repubblicana, la Reggia, anche salvaguardandola dal declino.
Ad aprile di mezzo secolo fa l’unico dubbio era la capienza dell’aula consigliare, ipotizzata inizialmente nella sala da ballo, il salone d’onore, del corpo centrale. Ma la soluzione era a portata di mano: “L’aula del Consiglio è collocata in quella parte dell’edificio che è simmetrica rispetto alla Cappella e che viene chiamata Cavallerizza. I disegni originali del Piermarini non prospettano, per questa zona, nessuna soluzione distributiva interna” ed è quanto bastava, allora, per pensare di rivoluzionarli per inserire la sede consigliare.
Ci sarebbero poi voluti altri mesi, ma il dado sarebbe stato tratto: a settembre dello stesso anno avrebbe poi votato per l’insediamento a Monza (44 sì, 25 no: favorevoli Dc, Pli, Psdi, un voto Msi, parte del Psi; contrari Pci, l’altra parte del Psi – 4 su 9 – e tre astensioni fra il resto del Msi e il Pri). Era il risultato di un percorso iniziato nel 1969 con una indagine di una sottocommissione di matrice monzese che aveva analizzato altre sedi regionali per poi spedire un rapporto alla Lombardia. Erano poi state escluse altre opzioni fino a chiedere a Monza, da parte della Regione, una analisi costi di ristrutturazione e affitto. La risposta: 14 mesi di lavori, 1,4 miliardi di restauri, 1.000 lire simboliche di affitto all’anno.
L’idea: sala del Consiglio, Presidenza, Giunta, segreteria e sala di rappresentanza nel corpo centrale; nell’ala sinistra le attività tecnico-culturali; nell’ala destra quelle economiche-giuridiche. Era dicembre 1970, un mese dopo qualcuno avrebbe sollevato dubbi, incluso quello della sala del Consiglio, che sarebbe stata spostata nelle Cavallerizze modificate. E allora tutti d’accordo, fino al voto.
Affare fatto? Sì. Eseguito? No. La seconda giunta lombarda, guidata da Cesare Golfati, avrebbe poi deciso di acquistare Palazzo Pirelli dalla società di pneumatici: era stato progetto da Gio Ponti nel 1950, realizzato tra il ’56 e il ’60. Venduto forse per gli alti costi di gestione, è stato comprato dalla Lombardia: 43 miliardi di lire pattuiti nel 1978, 30 volte i costi di restauro previsti per Monza. E 43 milioni di anni di affitto simbolico.