L’emergenza coronavirus in pronto soccorso, intervista a Tiziana Fraterrigo (Vimercate): «Siamo stati medici come dovremmo sempre esserlo»

L’intervista a Tiziana Fraterrigo, responsabile di pronto soccorso di Vimercate, per far raccontare i mesi dell’emergenza da chi li ha vissuti in prima linea. «Il ricordo? La bellezza della Brianza: in tanti ci hanno aiutato. Vivo qui da vent’anni, non l’avevo capito»
Tiziana Fraterrigo, pronto soccorso Vimercate (al centro)
Tiziana Fraterrigo, pronto soccorso Vimercate (al centro)

«Uno dei nostri infermieri mi ha definito “le nostre mutande di ferro”. Eppure anch’io un giorno…». Anche lei un giorno, per qualche istante, ha raggiunto il limite. E ha chiesto a una psicologa che lavora in reparto di fare l’Emdr, una tecnica che viene utilizzata con chi è stato coinvolto in un attentato, in una catastrofe.

Però non è solo dolore ad affastellarsi nella memoria di Tiziana Fraterrigo, la responsabile del pronto soccorso di Vimercate che ha vissuto gli ultimi tre mesi dove l’ondata dei pazienti Covid è arrivata.

«C’è chi regge di più, chi di meno. Ci sono stati colleghi che sono scoppiati in lacrime. Però di una cosa sono certa: siamo stati medici come dovremmo sempre esserlo».
Eroi? «Appunto, no: questa cosa chi ha fatto sorridere. E arrabbiare. Anzi diciamo proprio imbestialire. Non abbiamo fatto altro che trattare un numero superiore di pazienti, con tanta forza d’animo. Non so, io ho scotomizzato tutto (in psicologia, un processo di rimozione, ndr). E nonostante l’orrore, è stata un’esperienza bellissima, dal punto di vista professionale: sessanta giorni, tutti riuniti dalle 8 a notte con l’unità di crisi, mai visto niente del genere».

Siciliana di Gela, studentessa di Catania, ha lavorato quattro anni a Carate Brianza prima di arrivare a Vimercate. Monzese, di casa, per qualche anno. «Cosa ricordo di più? Il gesto di mettere il casco ai pazienti. E poi il loro rumore, quel fischio…. sembrava di stare a Malpensa». Ma il ricordo più grande di questi ultimi mesi è un altro, anzi è un’immagine: «La bellezza della Brianza».

Che è fatta dalla mobilitazione sociale e civile che ha avvertito in queste tante settimane di apnea lavorativa («un giorno mi sono resa conto di avere fatto 27 ore consecutive»). «Un’attenzione strepitosa: tutti quelli che ci hanno aiutato, da chi ha stampato le valvole in 3D a chi ha realizzato gli elastici a farfalla per le mascherine, una mia amica di Monza ci ha aiutato in tutti i modi, per il cambio dei pazienti, i cuscini. E un altro amico è diventato la staffetta respiratoria. Fino alla Curva Pieri, i tifosi dell’Ac Monza» che hanno portato pranzo e cena anche al personale dell’ospedale di Vimercate. «Sono qui da oltre vent’anni, non avevo ancora capito che la Brianza è così».

Pranzo e cena, per il personale, ecco: era quella il momento. «Il gruppo di pronto soccorso si è coagulato ancora di più ed è questo un risultato positivo dell’epidemia. Lì siamo tutti allo stesso livello. Quando possiamo ci abbracciamo, ci tocchiamo, una familiarità diventata ancora più sentita. Abbiamo voglia di fare una festa, adesso per essere altro. Anche solo quei momenti del pranzo e della cena, con il segno delle mascherine ancora sulla faccia…. era felicità».

Perché poi si tornava fuori e «negli occhi vedevi il terrore: il virus è stato per i pazienti l’idea stessa di morte». Se deve immaginarsi quale è stato il momento in cui ha capito che la situazione era grave, Tiziana Fraterrigo torna ai giorni intorno al 20 febbraio.

«C’era mio figlio qui, studia medicina a Catania. Avrei dovuto accompagnarlo all’aeroporto. Ma è arrivata la convocazione dell’unità di crisi e «immediatamente tutto il pronto soccorso ha cambiato assetto». I focolai di Agrate, di Concorezzo, di Mezzago, ma poi è stata la volta dei pazienti di Bergamo, quando gli ospedali di là sono arrivati a saturazione.
«I primi erano anziani già allettati, pluripatologici. Ma dopo quindici giorni è stata la volta della fetta più grave: la gente che arrivava non era in grado di respirare. Chi arriva ora non ha la stessa gravità e ne vediamo anche pochi. Anzi, dobbiamo tornare alla normalità e ci fa anche paura. Ci chiediamo se saremo in grado di tornare come prima. Abbiamo avuto una fortuna: la migliore direzione strategica che abbia mai avuto. Sono stati visionari, non hanno mai detto no a un buon progetto. Ci hanno lasciato osare».

I ricordi passano anche dalle tante, troppe «polmoniti interstiziali strane» viste a novembre oppure ai troppi pazienti che per paura del Covid sono rimasti lontani dagli ospedali, «arrivando con ictus e infarti tardivi».

E ora? «Ora siamo stanchi. Non sarà facile» ma la responsabile di Vimercate si è già rimessa a scrivere: è una poetessa, questa volta sarà prosa. Un racconto fatto non di dati tecnici, ma delle sensazioni vissute. Sono siciliana, sono di mare, credo che prenderò una casetta sul lago. «Andrò lì a scrivere».