La variante al piano integrato proposta dalla proprietà dell’ex Feltrificio Scotti prevede la demolizione della ciminiera: ci si prepara, così, a dire addio a quell’elemento verticale, così caratteristico dei siti di archeologia industriale, se il progetto dovesse essere accolto. Non è la prima volta che si discute del suo abbattimento: e se in passato la vecchia ciminiera era stata considerata recuperabile, proprio perché testimonianza storica, già nel 2017, a gennaio, la commissione paesaggio del comune aveva espresso un parere favorevole al suo abbattimento.
Non deve essere stata cosa da poco, infatti, per i privati pensare al mantenimento e al recupero del manufatto alto quaranta metri e ai costi della sua messa in sicurezza. La ciminiera dell’ex Feltrificio Scotti sarà quindi rasa al suolo: seguirà lo stesso destino stabilito, qualche tempo fa, per la ciminiera dell’ex tessitura Pastori e Casanova, area dismessa da decenni compresa tra via Dante e via Grossi: in quest’ultimo caso, il manufatto è stato abbattuto per questioni di sicurezza. Quella della Pastori e Casanova è stata l’ultima ciminiera in ordine di tempo a salutare la città.
Ma a conservare la memoria di quelle, numerose, ormai demolite, ne (re)esistono ancora una manciata: dislocate in alcune aree dismesse della città, in attesa di interventi di recupero e di riqualificazione. Così, in piazza Cambiaghi fa ancora capolino il camino, non molto alto, che in passato faceva parte dell’ampia area occupata dall’omonimo cappellificio. Dall’altra parte del centro storico, nell’area dismessa compresa tra via Piave e via Ghilini, ne esiste un’altra: quegli spazi – oltre seimila metri quadri – fino agli anni Ottanta sono stati occupati dall’ex Cascamificio Italiano. L’anno scorso la proprietà, Piave 83, ha firmato la convenzione relativa al piano integrato di intervento, che prevede la realizzazione di nuove abitazioni, ma anche di laboratori e di spazi aperti alla cittadinanza. Poi ex Hensemberger e Cederna.
Poco distante, in via Procaccini, se ne conta una terza, compresa negli spazi dell’ex macello, dove i progetti prevedono la realizzazione di un polo scolastico innovativo. La quarta svetta, alta, tra i capannoni e gli edifici diroccati dell’ex cotonificio Fossati Lamperti, a San Rocco, a ridosso della ferrovia.
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E le altre? Per avere un’idea di tutte le altre ciminiere che hanno movimentato l’orizzonte della città, e di quante fossero, è necessario compiere un salto all’indietro nel tempo lungo almeno un secolo e farsi aiutare dal libro di Giuseppe Longoni, “Una città del lavoro” (1987, Cappelli Editore). Grazie alle mappe e agli elenchi pubblicati è possibile conoscere il numero di aziende presenti e stimare, quindi, il numero delle ciminiere, pari a parecchie decine, come ha commentato lo storico monzese. Interessante in particolare il “Censimento industriale” del 1911, che elenca il nome e l’ubicazione, in città, delle imprese con più di quaranta addetti. Se contavano 66: è quindi possibili ipotizzare la presenza di un numero simile di ciminiere, arrotondandolo al ribasso. Un centinaio? Forse sì.
Nell’elenco si individuano sedici cappellifici, ventuno tra filature e tessiture, sei tra nastrifici e altre fabbriche tessili, sette tintorie e candeggi di filati e tessuti, sei fabbriche metalemeccaniche, otto imprese attive nell’ambito delle costruzioni, dell’edilizia, dei lavori e dei servizi. Due, invece, rientrano sotto il cappello di “altre lavorazioni”. La ricerca, dettagliata, dà anche conto del numero di caldaie e di motori (a vapore, idraulici o a gas) delle diverse industrie attive nei diversi settori e presenti all’interno del comune alla fine dell’Ottocento. Mappa alla mano, si nota come le imprese fossero presenti soprattutto nel quadrante ora compreso tra il canale Villoresi, corso Milano e via Cavallotti. Molto gettonata anche l’area racchiusa tra via Appiani e viale Cesare Battisti. Poche, invece, le imprese presenti nella zona centro orientale della città.