L’Italia è un paese che invecchia e che si spopola nei suoi comuni più piccoli, così appare nell’ultima fotografia scattata dall’Istat con i primi dati definitivi del 2018 e del 2019 del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni. La popolazione censita al 31 dicembre 2019 ammonta a 59.641.488 residenti – circa 175mila persone in meno rispetto al 31 dicembre 2018, pari a -0,3% – ma risulta sostanzialmente stabile nel confronto con il 2011 (anno dell’ultimo censimento di tipo tradizionale), quando si contarono 59.433.744 residenti (+0,3%, per un totale di +207.744 individui).
Rispetto al 2011, i residenti diminuiscono nell’Italia Meridionale e nelle Isole (-1,9% e -2,3%), e aumentano nell’Italia Centrale (+2%) e in entrambe le ripartizioni del Nord (+1,6% nell’Italia Nord-orientale e +1,4% nell’Italia Nord-occidentale).
La provincia di Monza e Brianza supera gli 870mila residenti (870.193): 119.529 i residenti tra 0 e 14 anni, 41.784 tra 15 e 19 anni, 83.670 tra 20 e 29 anni, 98.208 tra 30 e 39 anni, 136.043 tra 40 e 49 anni, 139.962 tra 50 e 59 anni (la fetta più rappresentata è quella 50-54 anni con 74.230 persone), 103.616 tra 60 e 69 anni, 85.285 tra 70 e 79 anni, 52.263 tra 80 e 89 anni, 9.699 tra 90 e 99 ann, 134 centenari e oltre.
La popolazione residente diminuisce nei comuni con meno di 5mila abitanti (-520.843 individui rispetto al 2011) e aumenta in tutte le altre classi dimensionali, soprattutto nei comuni tra i 50mila e i 100mila abitanti (+3,6%) e in quelli con oltre 100mila abitanti (+2,5%). Una dinamica è dovuta principalmente ai cittadini stranieri, la cui presenza aumenta in tutte le classi di ampiezza demografica. Gli italiani invece diminuiscono in tutte le classi di comuni, a eccezione di quella tra 50mila e 100mila abitanti.
La struttura per genere della popolazione residente si caratterizza per una maggiore presenza di donne. Nel 2019 le donne sono 30.591.392 – il 51,3% del totale – e superano gli uomini di 1.541.296 unità.
Più del 50% dei residenti è concentrato in cinque regioni, una per ogni ripartizione geografica: Lombardia (16,8%, con 10 milioni e 27mila residenti è in assoluto la regione più popolata), Veneto (8,2%), Lazio (9,7%), Campania (9,6%) e Sicilia (8,2%).
Il lievissimo incremento di popolazione rispetto al 2011 è da attribuire esclusivamente alla componente straniera. Nel periodo 2011-2019 la popolazione di cittadinanza italiana è diminuita di circa 800mila unità (-1,5%) mentre i cittadini stranieri sono aumentati di circa 1 milione (+25,1%), senza considerare che sono più di 1 milione le acquisizioni di cittadinanza nel periodo 2012-2019 e che già al censimento del 2011 i cittadini italiani per acquisizione erano quasi 700mila.
Il comune più grande è Roma con 2,8 milioni di abitanti, mentre quello più piccolo è Morterone, in provincia di Lecco, con 30 abitanti.
I cittadini stranieri risultano in crescita in tutte le regioni della Penisola, a eccezione della Valle d’Aosta, mentre sono solo quattro le regioni in cui aumenta anche la popolazione italiana: Lombardia, Lazio, Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna.
Il nostro è un Paese sempre più vecchio. Tutte le classi di età sotto i 44 anni vedono diminuire il proprio peso relativo rispetto al 2011 mentre aumentano molto le persone dai 45 anni in su che passano dal 48,2% del 2011 al 53,5% del 2019.
L’età media si è innalzata di due anni rispetto al 2011 (da 43 a 45 anni). La Campania, con 42 anni, è la regione con la popolazione più giovane, seguita da Trentino Alto Adige (43 anni), Sicilia e Calabria (entrambe con 44 anni). La Liguria si conferma la regione con l’età media più elevata (49 anni). Anche nel 1951 la Campania e la Liguria erano la regione più giovane e quella più vecchia ma, per entrambe, l’età media risultava più bassa di 13-14 anni rispetto a quella registrata nel 2019.
Il comune più giovane è Orta di Atella, in provincia di Caserta, con una età media di 35,3 anni; quello più vecchio è Fascia, in provincia di Genova, dove l’età media supera i 66 anni.
Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana è ancora più evidente nel confronto con i censimenti passati. Il numero di anziani per bambino passa da meno di 1 nel 1951 a 5 nel 2019 (era 3,8 nel 2011) e l’indice di vecchiaia (dato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni) è notevolmente aumentato, dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019 (148,7% nel 2001).
La più giovane struttura per età della popolazione straniera rallenta il processo di invecchiamento della popolazione residente in Italia. L’età media degli stranieri è più bassa di 11,5 anni rispetto a quella degli italiani (34,7 anni contro 46,2 anni nel 2019). Anche il numero di persone che raggiungono l’età da lavoro è superiore rispetto a coloro che stanno per ritirarsi dal lavoro. A beneficiare della più giovane struttura per età degli stranieri sono soprattutto le due ripartizioni del Nord Italia dove si registrano i più bassi valori dell’età media e dell’indice di vecchiaia, nonchè le percentuali più alte di bambini in età 0-4 anni (circa il 7%).
Anche tra gli stranieri prevalgono di poco le donne. Il genere non costituisce un elemento di differenziazione tra italiani e stranieri, in quanto in entrambi i casi le donne prevalgono, pressoché della medesima entità (51,7% nella popolazione straniera e 51,2% per quella italiana).
I laureati e le persone che hanno conseguito un diploma di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica (A.F.A.M.) di I o II livello rappresentano il 13,9% della popolazione di 9 anni e più. Il 35,6% dei residenti ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado o di qualifica professionale ; il 29,5% la licenza di scuola media; il 16,0% la licenza di scuola elementare. La restante quota di popolazione si distribuisce tra analfabeti e alfabeti senza titolo di studio (4,6%) e dottori di ricerca, che possiedono il grado di istruzione più elevato riconosciuto a livello internazionale (232.833, pari allo 0,4% della popolazione di 9 anni e più).
Tra la popolazione residente di 15 anni e più, le forze di lavoro ammontano al 52,5%, dal 50,8% del censimento 2011, mentre calano gli inattivi (47,5% da 49,2%). Gli occupati salgono al 45,6% dal 45,0% del 2011 (23.662.471 da 23.017.840). La quota di disoccupati passa invece dal 5,8% al 6,9%.
Rispetto al 2011, diminuiscono, sia in termini assoluti che percentuali, le persone che non hanno concluso con successo un corso di studi (dal 6% al 4,6%) e quelle con al massimo la licenza di scuola elementare (dal 20,7% al 16,0%) e di scuola media (dal 30,7% al 29,5%).
Nel 2019 aumentano le persone in possesso di titoli di studio più elevati rispetto a otto anni prima. In particolare, si contano quasi 36 diplomati (31 nel 2011) e 14 laureati (11 nel 2011) ogni 100 cento individui di 9 anni e più mentre i dottori di ricerca passano da 164.621 a 232.833, con un incremento pari a più del 40%.
Quote di occupati sopra la media nazionale (45,6%) si rilevano nelle regioni del Nord e del Centro. Le percentuali più elevate sono quelle del Trentino – Alto Adige (55,6%) e di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, con valori compresi tra il 51,7% e il 51,0%.
Livelli più bassi si registrano principalmente nel Mezzogiorno, soprattutto in Campania (37,3%), Calabria (36,5%) e Sicilia (34,9%).
Anche se di poco, aumenta la quota di donne occupate. Se nel 2011 la componente femminile rappresentava il 41,8% degli occupati (9.621.295), nel 2019 sale al 42,4%. La maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro è confermata dalla variazione intercorsa tra il 2011 e il 2019 che è stata per gli uomini pari a +1,7% (+233.895 unità) e per le donne di +4,3% (+410.736).
Lo squilibrio di genere permane ed è confermato anche dai livelli dei tassi di occupazione (37,4% contro 54,4% per gli uomini), disoccupazione (15,1% contro 11,6%) e inattività (56,0% contro 38,5%).