Inchiesta “Smile”: sequestrati 2 milioni e mezzo a Canegrati e al suo commercialista

La misura cautelare reale scaturisce dagli ulteriori approfondimenti svolti dopo l’arresto della imprenditrice monzese, soprannominata "Lady Sorriso”, tuttora a processo, a fronte di presunti reati che le avrebbero permesso di accumulare i proventi illeciti per i quali è stato disposto il sequestro.
Maria Paola Canegrati
Maria Paola Canegrati

I militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Milano e quelli del Nucleo Operativo del Gruppo Guardia di Finanza di Monza hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo d’urgenza, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, sui beni e conti correnti per un valore complessivo di circa 2,5 milioni di euro, riconducibile all’imprenditrice monzese Maria Paola Canegrati e a un suo commercialista e consulente, nonché a due società operanti nel settore dell’odontoiatria, di cui l’indagata era amministratore unico.

La misura cautelare reale scaturisce dagli ulteriori approfondimenti svolti dopo l’arresto della imprenditrice, soprannominata “Lady Sorriso”, tuttora a processo, a fronte di presunti reati che le avrebbero permesso di accumulare i proventi illeciti per i quali è stato disposto il sequestro.

In particolare, Canegrati si sarebbe resa responsabile di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, commessa in concorso con il commercialista, evadendo le imposte per 445mila euro, attraverso l’utilizzo di fatture false pari a oltre 1,8 milioni di Euro, emesse da società estere; inoltre, attraverso una presunta truffa e tentata truffa aggravata, commessa mediante l’artificiosa duplicazione di prestazioni odontoiatriche soggette a rimborso da parte del Servizio Sanitario Regionale, si sarebbe procurata un ingiusto profitto di altri 345mila euro;

Effettuando infine prelievi ingiustificati dalle casse delle società a lei riconducibili e acquisti di beni e servizi per sé o per terzi mediante l’utilizzo di carte di credito aziendali ovvero facendo addebitare le fatture alle società, (appropriazione indebita) avrebbe ottenuto un ulteriore ingiusto profitto di oltre 2,6 milioni di euro.