«A 10 anni di distanza dall’operazione Infinito e dal pentimento di Antonino Belnome, rimane l’esigenza che la popolazione si informi e conosca. Le sentenze ormai ci sono e sarebbe utile che se ne parlasse, non per accusare qualcuno, ma per verità e trasparenza». Marco Tagliabue, regista seregnese, traccia così un bilancio dell’esperienza che lo ha portato a produrre il documentario “Il Padrino e lo scrittore”, andato in onda domenica scorsa, sul primo canale della Radiotelevisione Svizzera Italiana, all’interno di una puntata dedicata della rubrica “Storie”.
L’elaborato, frutto di un paio di anni di lavoro, è imperniato su un’intervista realizzata ad Antonino Belnome, storica figura di riferimento in Brianza della ’ndrangheta, che oggi è collaboratore di giustizia e sta scontando ai domiciliari una pena che terminerà nel 2039, da Michele Camillo Costa, che sta curando anche la biografia del suo interlocutore. «I riscontri -approfondisce Tagliabue- sono stati ottimi. Il programma “Storie” solitamente prevede la presenza in studio di un solo ospite. In questo caso, essendo l’argomento di questa portata, siamo arrivati a quattro, che si sono espressi anche con punti di vista tra loro differenti, all’interno di un dibattito incentrato sulla penetrazione della ’ndrangheta in Svizzera.
C’erano Alessandra Dolci, responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che per prima raccolse con la collega Ilda Boccassini le dichiarazioni di Belnome e che ha spiegato come i collaboratori di giustizia siano un male necessario, perché è grazie a loro che lo Stato ha potuto concludere numerose indagini ed è arrivato a condanne importanti, Gaetano Saffioti, testimone di giustizia, che ha confidato di non sapere se sia giusto che lo Stato si affidi ai pentiti, ed infine Paolo Bernasconi, già procuratore pubblico di Lugano ed avvocato attivista contro i crimini finanziari, ed Aldo Sofia, giornalista d’inchiesta, che dal canto loro hanno ribadito quanto sia fondamentale l’apporto del pentitismo».
La puntata ed il documentario di Tagliabue sono poi stati caricati sul sito internet dell’emittente elvetica, ma non sono al momento visibili in Italia, per una necessità di riservatezza manifestata dallo stesso intervistato. «Il quadro che Belnome ci ha fatto -continua Tagliabue- appare sconvolgente. È emersa tutta la sua sofferenza, perché lui per primo è consapevole di aver tradito, quando è cominciata la sua collaborazione con la giustizia, i propri familiari. Lo abbiamo incontrato per più giornate a Roma, dove ce lo mettevano a disposizione al mattino e ce lo portavano via alla sera. Nel periodo della sua detenzione ai domiciliari, ha già cambiato casa per quattro volte, per motivi di sicurezza, l’ultima dopo il nostro colloquio. Abbiamo un girato di una ventina di ore, che è stato doloroso tagliare in fase di montaggio. Ma con il materiale ancora non utilizzato, pensiamo di poter produrre una seconda puntata».
L’immagine di Belnome che è uscita è chiara: «È nato e cresciuto in Brianza e, nella sua esposizione, si evidenzia l’affetto che ha per la nostra terra. Era un calciatore di ottimo livello: cominciò a 13 o 14 anni all’Oggiono, poi visse esperienze professionistiche al Teramo ed al Catania, di cui su internet si trovano tracce. La sua ascesa fu interrotta da un incidente stradale, che fu la sua rovina. Rientrato in Brianza, ritrovò quelli che erano i suoi amici d’infanzia e, da lì, partì il suo percorso nella ’ndrangheta. Ci ha spiegato che lui conosceva tutti e tutti conoscevano lui ed il suo ruolo, aggiungendo che vedeva frequentemente dal geometra al politico e che, tra Seregno e Giussano, ha avuto incontri in occasione di elezioni, in cui ha spostato voti. A volte, purtroppo, erano gli imprenditori a cercarlo. Ecco, la disponibilità dell’ambiente nei suoi confronti preoccupa: Belnome ha detto a chiare lettere che, per la ’ndrangheta, le persone più importanti, con cui fare affari, sono quelle al di fuori della struttura e non al suo interno. Mi è apparso lucido e preciso nelle ricostruzioni, come del resto lo considerano le Procure della Repubblica, che spesso lo interpellano per dare una chiave interpretativa ad episodi sotto la lente d’ingrandimento».