«La testa qualcosa si ricorda, il corpo si ricorda tutto. Vale per tutte le patologie». Usa questa massima, Luca Arosio, fisioterapista e osteopata di Lissone, nel semplificare come il coronavirus lasci inevitabilmente delle “tracce” . «In linea di massima la riabilitazione post Covid ha le stesse problematiche di un lungo allettamento – spiega – sicuramente ci sono due aspetti fondamentali da considerare: la rieducazione al cammino cui si arriva attraverso vari step, e quindi il filone che interessa in maniera più generale l’apparato muscolo scheletrico, e poi la riabilitazione respiratoria per quei pazienti hanno avuto una gran compromissione della capacità polmonare. In questo secondo caso, si utilizzano strumenti molto semplici che servono a riutilizzare il diaframma, ad utilizzare meglio la gabbia toracica».
Non c’è una regola di massima perché il recupero è soggettivo. «Soprattutto, va considerata la gravità della condizione in acuto – precisa – tutti abbiamo visto purtroppo tanti giovani morti per Covid. Nel mio piccolo, porto l’esempio di un collaboratore della nazionale di short track (Arosio è fisioterapista della nazionale italiana di pattinaggio ndg), preparatore atletico di 36 anni, quasi due metri e 90 chili di muscoli, che preso il Covid a dicembre ancora adesso deve gestire la saturazione».
Il paziente, in fase di riabilitazione, ha un ruolo determinante. «Direi che deve avere un ruolo dominante – rimarca Arosio – per tutte le riabilitazioni che seguo, connesse a problematiche muscolo scheletriche, non voglio sottoscrivere una sorta di abbonamento di sedute da fare: il paziente deve fare 3, 4 o 5 esercizi, ma con un allenamento costante, seguendo una sorta di “prescrizioni”. Ha poi un ruolo dominante anche per l’aspetto motivazionale, ecco perché riscontriamo le difficoltà maggiori con gli anziani che sono debilitati, stanchi e faticano a fare sport ed esercizi».
Il Covid lascia tracce. «Il corpo si ricorda tutto. E questo vale per tutte le patologie, Covid compreso- e spiega- lo notiamo tutti i giorni in studio. Anche una cicatrice di una vecchia appendicite può condizionare i tratti articolari e quindi il paziente rimane stupito se, toccando la cicatrice, dando cioè un input neurologico, si sblocca. Un altro aspetto molto più palpabile nella popolazione, anche da chi non ha avuto il Covid – conclude -è legato alle tensioni emotive. La gente sta risentendo delle restrizioni e dei cambiamenti dello stile di vita e l’osteopata non può trascurare questa dinamica di cura che necessita comunque di una gestione molto più impegnativa».