Nell’ambito di un’iniziativa dedicata al ricordo delle vittime dell’attentato di via D’Amelio, dove persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta, mercoledì 18 luglio, a cura della Commissione antimafia del Consiglio regionale lombardo è stata presentata a Palazzo Pirelli (al Belvedere Jannacci) una ricerca realizzata dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata- Cross, dell’Università degli Studi di Milano, sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia.
Un lavoro inedito che la presidente della Commissione, Monica Forte, ha detto di voler presentare prossimamente in tutte le Province lombarde. «Non si tratta solo di un omaggio alla memoria – ha detto – ma un ricordo che vuole essere aperto alla continuità con il lavoro svolto dai magistrati».
«Dobbiamo contrastare ogni infiltrazione e fare che la coscienza del valore della legalità si diffonda in maniera pervasiva» ha aggiunto il presidente della Regione Attilio Fontana. Presente tra gli altri anche il procuratore aggiunto a capo della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Dolci.
Ad illustrare il report è intervenuto Nando Dalla Chiesa, direttore di Cross – Osservatorio sulla criminalità organizzata. Si tratta di una prima parte del lavoro sulla presenza territoriale della mafia in Lombardia; una seconda parte, pronta per la fine dell’anno, si concentrerà invece sugli “affari” della criminalità nella regione.
Il lavoro, finanziato con risorse della Giunta regionale lombarda, ha visto impegnato un pool di otto ricercatori. La parte più significativa, oltre a un excursus storico relativo all’infiltrazione riguarda l’attuale, con quello che i ricercatori definiscono “doppio salto di qualità” delle mafie in Lombardia che ha portato dalla iniziale presenza per casualità a un progetto e dall’obiettivo degli investimenti a quello della conquista del territorio. Un passaggio focale che, sempre secondo i relatori, è avvenuto soprattutto con l’egemonia della ’ndrangheta rispetto a Cosa Nostra.
I clan, tra l’altro, hanno dato prova di resistere alle repressioni e di riuscire a ricostituirsi in forme nuove “intorno allo stesso ceppo dinastico” e di sviluppare rapporti nella “zona grigia”, con soggetti non mafiosi ma partecipi a pieno titolo del “campo organizzativo mafioso”. Milano e Monza Brianza sono storicamente le province con la più alta presenza mafiosa della regione, ma è in corso un riequilibrio tra est e ovest della regione: «con il consolidamento delle presenze mafiose nella provincia di Bergamo e a Mantova».
Un altro aspetto dell’analisi è dedicato ai beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose (1.886 ad ottobre 2017 in tutta la regione) con Milano in testa (830; 45%) e Monza Brianza che segue con 380 (20%) e poi via via le altre province. Da segnalare che tra i beni oggetto di misure di prevenzione, 24 sono stati sequestrati a stranieri dediti principalmente al narcotraffico e allo spaccio. Tra i temi oggetto di analisi, è emersa la mancanza in Lombardia di una “cultura di riutilizzo” del bene confiscato. “Gran parte dei beni assegnati alle associazioni, cooperative e fondazioni sono destinati ad attività sociali mentre manca , come al Sud, la parte relativa ala creazione di nuove imprese e di una nuova economia” sottolineano i ricercatori.
Ma dove e quanto investono le organizzazioni criminali in Lombardia? Soprattutto nelle province di Milano, Monza e Brianza e Varese, caratterizzate tra l’altro (dati Unioncamere) da un’alta natalità delle aziende rispetto alle altre province, in lieve flessione nell’ultimo anno. Sono soprattutto i proventi derivanti dal traffico di droga ad essere investiti nell’economia legale e riciclati: 266, a ottobre 2017, le aziende lombarde in gestione da parte della Autorità nazionale beni sequestrati e confiscati (la Lombardia è al quinto posto dopo Sicilia, Campania, Lazio e Calabria). La gran parte è concentrata a Milano (180), Monza Brianza (29) e Brescia (17). Un dato che permette di evidenziare in quali province le mafie prediligano investire il loro denaro: il 68% a Milano e, a seguire, a Monza e in Brianza (11%); il restante 21% è ripartito in modo più o meno uniforme (a parte un 6% a Brescia), nelle altre province Lombarde.