I killer di Alfio Molteni vivono in Brianza? Non è escluso visto che l’auto utilizzata per la fuga dopo l’omicidio dell’architetto ucciso mercoledì sera a Carugo (LEGGI QUI), una Volkswagen Polo di proprietà del figlio della vittima, Federico, di 26 anni, è stata ritrovata bruciata qualche ora dopo l’omicidio lungo la superstrada Milano – Meda all’altezza di Paderno Dugnano, in via Parma. Sull’episodio i carabinieri della Compagnia di Desio dirottano ai colleghi comaschi che stanno indagando sull’omicidio.
Esclusa l’ipotesi della criminalità organizzata, i militari del nucleo investigativo coordinati dal pubblico ministero Pasquale Addesso seguono la pista legata a presunti contrasti di lavoro, forse per qualche debito non onorato. Certo è che la modalità del delitto e poi l’epilogo, con l’auto data alle fiamme, fanno pensare a dei professionisti.
Ma forse omicidio non doveva essere: piuttosto l’ennesimo avvertimento, il quarto, al professionista che da qualche tempo abitava con i genitori a Carugo dopo aver lasciato un’altra abitazione nel medesimo comune a seguito della separazione dalla seconda moglie, avvenuta un paio di anni fa, e prima ancora Verano, dopo la fine del primo matrimonio.
L’ipotesi prevalente è che quelli che si sono poi trasformati in killer volessero “solo” gambizzare l’architetto con studio a Mariano Comense e interessi in Brianza, ma anche all’estero, fino alla Russia, Emirati Arabi e Dubai. Entrambi i colpi sparati sarebbero stati indirizzati infatti alle gambe ma il secondo avrebbe colpito Molteni al torace forse perchè, raggiunto dal primo proiettile, l’architetto si stava accasciando.
Una vicina ha detto che dopo gli spari era cosciente. È riuscito a raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale di Cantù ma i medici ne hanno constato dopo pochi minuti il decesso, probabilmente per un’emorragia interna. L’epilogo tragico di una serie di avvertimenti: il 28, maggio la Range Rover dell’architetto era stata data alle fiamme in un box a pochi metri dal suo studio, a Mariano Comense. A giugno ignoti avevano lanciato una rudimentale molotov attraverso la finestra della taverna di casa. Domenica 26 luglio in pieno giorno uno sconosciuto sceso da un furgone, con il volto scoperto, aveva esploso otto colpi di pistola contro la tapparella dell’abitazione.
Nonostante tutto Molteni aveva detto agli inquirenti di non avere nemici, di non avere idea di chi potesse essere stato. Il solo contrasto, avrebbe detto, era con la ex moglie (la seconda) per una separazione che da consensuale era divenuta giudiziale. Ma gli inquirenti hanno escluso anche la pista familiare. Piuttosto l’attenzione va a presunte frequentazioni poco raccomandabili intrattenute negli ultimi mesi dall’architetto che sarebbero state descritte agli inquirenti da un familiare.