Un gruppo su Whatsapp, ai quali si erano iscritti settanta clienti fedelissimi. Era stato facile per «Vitto spaccino», «Alias» e «Gerry Pot» – i nickname con cui i tre spacciatori in erba si erano ritagliati una nuova identità sul web – creare una «micro impresa» giovanile. Core business: lo spaccio. Fiumi di droga, soldi facili.
Ma i tre giovanissimi pusher – due ancora alle superiori e uno all’università – non si erano accorti che tra i clienti della chat si erano infiltrate anche due clienti insospettabili: le loro mamme. Mascherate dietro due profili fake, sono state loro a collaborare con i poliziotti del commissariato Quarto Oggiaro e a incastrare la scorsa settimana i loro stessi figli.
I precedenti su Whatsapp
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Un’indagine «al femminile» iniziata a Paderno Dugnano: con l’arresto di due ragazzini per spaccio. Gli agenti hanno iniziato a pedinare alcuni contatti, alla ricerca di clienti e fornitori. È stato durante il lavoro di setaccio che una mamma si è presentata in commissariato: «Dottore, forse posso darvi una mano» ha sussurrato con un filo di voce.
Ci vuole coraggio e capacità di razionalizzare il dolore, per denunciare il proprio figlio. Serve prenderlo a due mani, per indagare a fianco delle forze dell’ordine fino a farlo cadere in trappola. Una collaborazione che si è rivelata decisiva: nella doppia veste di genitori e di clienti, le mamme riuscivano a fare avere ai poliziotti dritte sui movimenti dei ragazzi.
Lo spaccio avveniva in un parchetto a Quarto Oggiaro e aumentava nei weekend, in occasione delle feste. I clienti erano tutti amici dei tre spacciatori, amici degli amici o compagni di scuola: una rete di ragazzini che venivano a comprare da molte zone di Milano e di Paderno Dugnano. Il ritmo delle cessioni era continuo. I tre spacciatori sono cresciuti in famiglie regolari. A spingerli a spacciare, il desiderio di avere tantissimi soldi.